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Processo Covid, Fontana: "Lamorgese disse 'guai a voi'"

Claudia Osmetti
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«Non so sulla base di quale valutazione il professore e senatore Crisanti abbia tratto le conclusioni che hanno portato a questa incriminazione, ma ricordo solo due piccole considerazioni». Non ci sta Attilio Fontana. Il governatore della Lombardia, in quota Lega, riconfermato alla guida del Pirellone neanche un mese fa e nonostante una campagna elettorale che ha già tirato in ballo a sufficienza il Covid e la sua gestione (e, forse, alla fine, vale solo quello: il responso dei cittadini che è chiaro e netto). Sul tavolo c’è l’inchiesta avviata dalla procura di Bergamo, quella sulla zona rossa, sul primo intervento, su quelle settimane che erano un marasma e nelle quali tutti (ma proprio tutti) non sapevamo che fare. «La prima considerazione», chiarisce Fontana, «è che quando si tratta di un’emergenza pandemica la competenza è esclusiva dello Stato. E lo è secondo la Costituzione, non secondo me. La seconda considerazione è che, allora, la stessa ministra Lamorgese (Interno, governo Conte I: ndr) aveva mandato una direttiva dicendo: “Guai a voi se volete sovrapporvi con iniziative relative alle chiusure delle cosiddette zone rosse perché questa è una competenza esclusiva dello Stato”».

 

 

 

I PRIMI FOCOLAI

Punto e a capo, ma il concetto è limpido. Alzano e Nembro, i primi focolai. L’occhio del mondo puntato addosso perché, in quel maledetto inizio del 2020, eravamo i primi. Per Fontana la responsabilità era di Roma, dell’allora premier Giuseppe Conte (M5S) e dell’allora ministro Lamorgese che, spiega, l’avevano detto senza giri di parole: si-fa-come-diciamo-noi. «In quei giorni anche il ministro Boccia (Francesco Boccia, Pd, ministro per gli Affari regionali sempre nel Conte I: ndr) mi disse una frase famosa. Mi disse: “In questi casi è lo Stato che comanda”». Il che è anche comprensibile: che sia andata come sia andata, la situazione era nuova per chiunque, bisognava trovare una risposta, i vaccini non c’erano e il virus mordeva forte, si finiva in terapia intensiva. Ce lo ricordiamo tutti. Le conferenze stampa di Conte alle nove di sera, le immagini dalla Bergamasca con quelle bare in fila che fanno chiudere lo stomaco anche oggi, figurarsi allora.

 

 

 

ALL’OSCURO

Fontana è uno che parla pane al pane e che l’ha sempre detto. Non è neanche l’unico raggiunto (per modo di dire perché ufficialmente pare non sia ancora arrivato nulla, sono solo indiscrezioni di stampa) da un avviso di garanzia la sera di mercoledì 1 marzo. Più o meno all’ora di cena. L’inchiesta di Bergamo è chiusa e sopra il faldone si legge «epidemia colposa», che di certo non fa ben sperare. I nomi sono in tutto diciannove: c’è Fontana e c’è il suo vice dei tempi (Giulio Gallera, Forza Italia). Ma ci sono, appunto, anche l’ex premier Giuseppe Conte, l’ex ministro della Salute Roberto Speranza (Articolo 1) e il presidente dell’Iss, l’istituto superiore di sanità, Silvio Brusaferro. «Non ho visto le carte», continua il presidente lombardo, «è vergognoso che una persona che è stata sentita all’inizio dell’indagine perché a conoscenza dei fatti, e io ero stato sentito come testimone, scopra dai giornali di essere stato trasformato in un indagato».

In fondo i processi sono procedura e la procedura è garanzia: un conto è un test, un conto è un sospettato. «È una vergogna», continua Fontana, «sulla quale mi chiedo se qualche magistrato ritenga di fare un indagine: è la dimostrazione della curiosità e delle stranezze della giustizia italiana». Anche Gallera ammette di non aver ancora «ricevuto alcun atto ufficiale. Tuttavia sono sereno e garantirò, come ho sempre fatto, la massima collaborazione». Gallera, che ha mancato di un soffio la rielezione nel consiglio regionale lombardo, aggiunge: «Abbiamo affrontato il Covid a mani nude e, sulla base delle pochissime informazioni delle quali potevamo disporre, abbiamo messo in campo le decisioni più opportune per affrontare l’emergenza». 

 

 

 

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