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Marco Minniti, l'allarme: "Dalla Libia arriveranno terroristi, non barche"

Pietro Senaldi
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Attenti al confine meridionale, il nostro benessere dipenderà dall’Africa. Non c’è nulla, nessun muro che potrà reggere: se l’Africa nei prossimi vent’anni starà bene, l’Europa starà bene, altrimenti saranno guai per tutti. Per questo confido molto nel cosiddetto piano Mattei lanciato dal nostro premier nella sua missione africana, ma il progetto dev’essere europeo per funzionare. Poi ovvio, anche per ragioni geopolitiche, l’Italia non può che svolgere un ruolo chiave».

Lei ha parlato di vent’anni, ma se aspettiamo l’Unione Europea, invecchieranno i nostri nipoti prima che il dinosauro burocratico si desti...
«Quello che più mi preoccupa è la miopia dell’Unione Europea, che non ha compreso fino in fondo il senso della sfida che la attende e la drammatica guerra in Ucraina complica tutto: sposta tutta l’attenzione a Nord e a Est. Basti pensare che nel giro di pochi anni la Polonia, grazie ai progetti di incremento delle sue capacità militare, diventerà una delle principali potenze del continente».

In questo senso la Meloni ha visto giusto, è la prima ad aver stretto i rapporti con la Polonia, che l’attuale Europarlamento considerava un appestato a tavola, come l’Ungheria di Orbàn?
«Quando, con l’ingresso doveroso di Finlandia e Svezia, l’asse della Nato si sposterà più a Nord, il nostro governo, senza alcun approccio competitivo con le altre nazioni europee, avrà il dovere di tenere accesi i riflettori sul fronte del Mediterraneo allargato, dal Marocco alla Giordania, fino alla Penisola Arabica per intendersi».

Il progetto del governo è fare dell’Italia il grande hub energetico dell’Europa, forse anche per questo, come ai tempi della sciagurata guerra in Libia, della quale paghiamo ancora il prezzo, abbiamo la Francia come competitor più che come alleato...
«In Africa si giocano tre grandi partite. La prima è quella energetica, indispensabile se vogliamo liberarci della dipendenza dalla Russia. Poi c’è quella demografica: l’Europa è in recessione demografica, l’Africa cresce esponenzialmente. È un fenomeno che può diventare un’opportunità per noi, a patto di gestirlo legalmente. Non si può lasciare nelle mani dei trafficanti di esseri umani il futuro delle nostre democrazie».

E neppure in quello delle organizzazioni umanitarie?
«Premesso che io ritengo che non sia corretto agire attraverso decreti nei confronti di organizzazioni umanitarie, e glielo dico come autore, da ministro, del codice delle Ong, ritengo che vada ribaltata una certa narrativa. La questione va risolta in Africa, favorendo lo sviluppo del Continente. Un patto per le migrazioni legali tra Europa e Africa può diventare una straordinaria opportunità di crescita economica per i Paesi di partenza. Oggi l’India, superando la Cina, è la prima potenza demografica del mondo. Nel 2022 ha incassato cento miliardi di dollari dalle rimesse dei propri migranti legali».

Vasto programma...
«Ambizioso ma necessario. Guardi che l’Africa è un continente ricchissimo, la sua povertà è determinata dal fatto che le sue classi dirigenti la saccheggiano da sempre».

 



 

Non è colpa del neocolonialismo?
«Il neocolonialismo in Africa è quello che stanno facendo i cinesi. Il progetto europeo deve puntare invece alla formazione di classi dirigenti autoctone, che vengono in Europa a imparare e poi tornano in patria a dirigere, mantenendo con noi un rapporto di privilegiata fiducia. È peraltro l’obbiettivo di Medor».

Domenico Marco Minniti, una delle tante occasioni perse dal Pd, ha l’invidiabile caratteristica di tracciarti scenari apocalittici con il distacco dello storico, il sorriso dello stoico e la calma di chi sta al bar la domenica mattina. «La diplomazia culturale ci salverà. La fondazione consente all’Italia di espandersi in Africa e Medio Oriente, di creare un legame imperituro tra noi e quegli Stati. L’Europa metta sul tavolo sei miliardi e solleverà un Continente».

Sei miliardi è la cifra che l’Unione ha dato a Erdogan, per gestire- anzi, bloccare- i flussi migratori dalla rotta balcanica. Un investimento difensivo e improduttivo.
Mentre oggi vanno pensati per produrre prosperità e ricchezza...

«Ma bisogna partire da subito, malgrado le note macchinosità delle decisioni europee. Perché se non riusciamo a governare l’immigrazione e creare dall’Africa possono iniziare ad arrivare le armi anziché i barconi».

Presidente, si è scordato di parlarmi della terza partita che si gioca in Africa...
«Ma è quello che sto facendo, è il tema della sicurezza dell’Europa. In questo momento l’Africa è il principale scenario, insieme all’Afghanistan, di presenza del terrorismo internazionale, dal Sahel alla Somalia. Il fatto che sia scoppiato il conflitto ucraino non significa che la minaccia del terrorismo islamico sia scomparsa».

Lei pensa che in Africa possa aprirsi un secondo fronte dello scontro tra Occidente e Russia, o meglio Oriente?
«Certo, è possibile che a un certo punto qualcuno ritenga che aprire un fronte africano possa essere una risposta asimmetrica rispetto a una guerra che si sta combattendo sul terreno e che pare lontana dal concludersi. Ci sarà una ragione se la Russia, con la fame di uomini che ha sul fronte ucraino, mantiene gli uomini della Wagner in Libia, in Mali e nella Repubblica Centrafricana».

Ma il secondo fronte non potrebbe aprirsi più a est, tra Israele e Iran?
«La vittoria di Bibi Netanyahu aumenta questo rischio, ma mi auguro che i miei amici israeliani, con i quali ho un rapporto sostanziale che prescinde da chi governa e dalle contingenze, usino la massima prudenza.
Mi rendo conto che l’aria di rivolta che soffia in Iran possa far pensare a Israele che il momento sia propizio per avanzare le proprie pretese, ma non deve farlo perché si rischierebbe un tragico effetto domino. Con il paradosso di rafforzare il regime di Teheran. La tensione è altissima, confido nelle capacità diplomatiche dell’Egitto, che oggi è uno dei più importanti interlocutori di Israele».

Teme uno scoppio della Terza Guerra Mondiale?
«Lo temo, ma non credo che accadrà. Però, siccome non c’è più una Nazione guida avremo un mondo policentrico con colossi che si fronteggiano e decenni di tensione. In tutto questo non è pensabile, neppure per un secondo, un’Europa spaccata come le due Coree divise dal trentottesimo parallelo».

L’offensiva russa imminente non sarà risolutiva?
«Mosca ha mobilitato un milione e mezzo di uomini pronti a combattere. Una cifra enorme, ma gli ucraini hanno il fattore motivazionale dalla loro, oltre all’aiuto indispensabile dell’Occidente, che non verrà meno».

Crede alla minaccia nucleare di Putin?
«È già grave che Putin agiti la minaccia. Ma il dittatore russo sa che, se la attuasse, precipiterebbe in una condizione di drammatico isolamento e si esporrebbe al rischio mortale di una ritorsione. Catastrofica per il suo popolo. Già la guerra gli ha complicato i rapporti con la Cina, della quale ormai la Russia è Paese vassallo, da alleato che era».

Se Mosca rischia l’isolamento significa che ora non è isolata?
«Ha molti più alleati di quello che appare».

E l’Italia che ruolo può giocare?
«L’Italia deve fare da apripista di un’iniziativa europea verso il Mediterraneo allargato. Ci sono affinità elettive tra l’Italia, ma direi tra l’Europa, e i Paesi africani, ai quali non dobbiamo dare la sensazione che la sola alternativa per contare nel mondo sia inserirsi, da subalterni, nella filiera russo-cinese. Il Sud del pianeta cerca una posizione nel nuovo equilibrio mondiale e noi italiani siamo ritenuti più affidabili perché non abbiamo un’agenda nascosta. Costruire un rapporto di fiducia in diplomazia è essenziale».

Forse i Paesi africani pensano di ricavare maggiori vantaggi da un asse con Pechino...
«L’economia in diplomazia non è tutto. Si pensi a Erdogan, con un’inflazione all’80% è riuscito a ritagliarsi un ruolo cruciale di mediazione nel conflitto ucraino, con il risultato che la speculazione internazionale non lo ha attaccato. Un vero e proprio capolavoro. È ancora più importante, rispetto agli affari, offrire una prospettiva politica e strategica ai Paesi emergenti. Lo si è visto anche nel progressivo deterioramento dei rapporti con Putin».

Qualcosa mi dice che sul leader russo il suo pensiero non sia così distante da quello di Berlusconi...
«Che posso dire? Con Berlusconi ho affinità elettive sull’Africa, ma non condivido assolutamente l’attacco fatto ieri sera dal leader di Forza Italia al presidente ucraino. È vero però che con Mosca l’Occidente ha peccato di sottovalutazione dell’avversario. Questo dipende dal fatto che ragioniamo sempre e solo in base ai nostri schemi, e poi li applichiamo agli altri, che però sono diversi.
Abbiamo fatto lo stesso errore con la Cina: eravamo convinti che la conversione di Pechino al capitalismo avrebbe portato all’avvento della democrazia anche laggiù. Poi si è scoperto che il capitalismo funziona meglio con i regimi autoritari».

Un errore che abbiamo fatto anche con l’islam, quando ci siamo illusi che avrebbero sposato i nostri valori...
«Alla fine, anche nelle tragedie, la geopolitica si prende sempre le sue rivincite».

Avrebbe voluto vedere Zelensky a Sanremo?
«Sarebbe stato molto bello se il presidente ucraino avesse concluso il suo tour europeo al Festival. Avremmo fatto una figura straordinaria. Peccato. Poi ci lamentiamo di essere poco considerati, ma alla fine ognuno è artefice del proprio destino».

La Meloni ha detto che avrebbe voluto Zelensky al Festival..
 
«Ha fatto bene a tenersi fuori».

La criticano dicendo che da quando è al governo ha cambiato atteggiamento...
«Ma a volte la criticano anche perché non lo ha cambiato abbastanza. Ci sarà sempre chi la criticherà e la sua forza sarà nel non farsi condizionare. Nervi saldi. Io penso che la chiave generale nella vita e in politica sia mantenere un doppio movimento. È evidente che quando diventi capo del governo entri in dinamiche di compatibilità mondiale, tuttavia non devi scordarti di essere diventato capo del governo perché da capo dell’opposizione hai trasmesso il messaggio che avresti cambiato un quadro che gli italiani volevano cambiare». Per il premier sono più problematici gli alleati o le opposizioni? «Le opposizioni non le vedo. Gli alleati cercano spazi ma non sono una minaccia concreta. La vera sfida della Meloni è con se stessa: agire da giovane donna, di governo, senza farsi metabolizzare dal sistema di potere». 

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