Francesco, "un Papato politico nella tradizione del peronismo"

Loris Zanatta, professore di Storia dell’America Latina: "Per capirlo bisogna partire dal nazionalcattolicesimo, ovvero l’identità tra nazione, popolo e religione. Il suo nemico era il protestantesimo"
di Maurizio Stefaninisabato 26 aprile 2025
Francesco, "un Papato politico nella tradizione del peronismo"
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 Bergoglio una biografia politica si intitola un libro pubblicato da Laterza (320 pp., 20 euro) che era uscito giusto il 6 marzo. L’autore è Loris Zanatta: docente di Storia dell’America Latina all’Università di Bologna e autore di vari studi in particolare sul peronismo, sul populismo, su Fidel Castro e sul cattolicesimo latino-americano.

Come spiega la presentazione nella quarta di copertina, “Paladino della fede dei popoli contro la ragione delle élite, nemico della prosperità e cultore della povertà, devoto delle periferie religiose e ostile all’Occidente secolare, gesuita da capo a piedi: il papato di Jorge Mario Bergoglio, senza dubbio un papato ‘politico’. Ma quali sono le radici del pensiero di Papa Francesco?”. 
«Per comprendere Papa Francesco, la sua religiosità, la sua ideologia e la sua geopolitica bisogna partire dal cattolicesimo argentino. Perché è stato tutta la sua vita, fino a 77 anni, ed è un cattolicesimo che ha ereditato quel nazionalcattolicesimo che in Europa è stato sostanzialmente spazzato via dalla seconda guerra mondiale mentre in Argentina, viceversa, attraverso il peronismo, è diventato non solo egemonico, ma ha anche aspirato a diventare un modello globale. Il nazionalcattolicesimo non solo promuove l’identità fra nazione, religione e popolo, ma individua il suo maggior nemico in ciò che ritiene abbia distrutto la cristianità tradizionale dell’America Latina. Quindi, essenzialmente, il suo nemico è il protestantesimo anglosassone in origine e poi tutto ciò che in questa lettura storica ne deriva. Quindi il razionalismo, la rivoluzione scientifica, l’illuminismo, fino essenzialmente al liberalismo e alla democrazia politica. Quindi Bergoglio non era favorevole a quella ibridazione, spesso complessa, che si è prodotta in Europa tra tradizione illuminata laica e tradizione cattolica. Al contrario, la sua idea era che la tradizione cattolica debba affermarsi nel governo delle istituzioni, dell’economia e della società e sconfiggere la tradizione laica e illuminista, in quanto estranea alla cultura del popolo. Questa formazione si è tradotta nel pontificato in una geopolitica palesemente antioccidentale e antiliberale, e favorevole invece a una sorta di sincretismo tra i popoli del Sud del mondo ancora religiosi, seppur di religioni diverse tra loro, uniti contro un nemico comune che è il nemico eterno della cristianità, e cioè l’Occidente scristianizzato». 
Un profilo che potrebbe essere di destra. Però Bergoglio è stato spesso accusato di essere di sinistra.
«Secondo molti studiosi il peronismo è un tipico fascismo di sinistra. Come il fascismo si richiama infatti a un’idea antiliberale di corporativismo e identità fra Stato, nazione e popolo, ma è di sinistra perché ha una base sociale popolare, in larga parte formata dalla classe operaia all’epoca. Hernán Benítez, un gesuita predecessore di Bergoglio che fu uno dei maggiori ideologi del peronismo e l’inventore intellettuale di Eva Perón, parlava però di comunismo di destra. Quindi antiliberale, anticapitalista, comunitario e contro l’economia di mercato, e nemico della civiltà occidentale nata dalla riforma protestante; ma di destra perché, a differenza del comunismo sovietico, era un comunismo fondato sulla religione. Il fatto che comunismo e fascismo convivano in Argentina dentro lo stesso movimento e dentro la stessa visione religiosa ha indotto moltissimi, soprattutto in Europa, non dico a confondersi, ma a prendersi del peronismo quello che gli faceva comodo».
Il cattolicesimo europeo però a un certo punto è venuto ad accomodamenti con il capitalismo. Ne sono nati l’economia sociale di mercato e il capitalismo renano... 
«La seconda guerra mondiale cambia tutto e quindi permette effettivamente alla tradizione liberale che pure c’era all’interno dei nostri cattolicesimi di affermarsi. Ma in America Latina la seconda guerra mondiale non ha questo effetto, anche perché il cattolicesimo latinoamericano era stato storicamente un cattolicesimo di controriforma, forgiato nella contrapposizione con la riforma. Anche in Argentina c’era un cattolicesimo liberale, ma è stato sconfitto dal trionfo del peronismo, che è una proiezione del nazionalcattolicesimo. E Bergoglio è sempre stato nemico giurato del cattolicesimo liberale argentino».
E però alla fine si è ritrovato con un presidente come Milei... 
«Attenzione, per Bergoglio era molto più odioso Macri. Macri nella visione di Bergoglio era quello che lui chiamava ceto coloniale. Un antipopolo che incarnava la borghesia argentina influenzata dalla modernità liberale europea. Milei invece è un messianico, che invoca le forze del cielo e un immaginario religioso e che descrive in fondo il suo movimento come un cammino verso la terra promessa. Certo, è un turbocapitalista, e dunque Bergoglio non lo ha apprezzato quando è stato eletto. Però Milei è convinto di stare realizzando un disegno divino e riesce in questo modo a intercettare molti voti dei poveri. Ovviamente ha così messo Bergoglio e la Chiesa argentina in una situazione di grandissima difficoltà, perché le ricette tradizionali del nazionalcattolicesimo sono fallite. Gli ultimi governi peronisti hanno lasciato un’eredità tragica, e Milei compete sul loro stesso terreno. Però anche lui in fondo è una declinazione della tradizione populista argentina, con una visione escatologica della storia».