Quale bilancio si può fare di questo pontificato? Guidare la Chiesa, una realtà planetaria che fra le alterne vicende del mondo attraversa i millenni, è un compito sovrumano. Inoltre era arduo succedere a due giganti come Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che hanno cambiato la storia.
Francesco ha speso tutte le sue energie, senza risparmiarsi, nonostante la malattia, fino all’ultimo respiro. Ma si può dire che lasci una Chiesa più in salute di quella che aveva trovato? Non sembra. Perfino gli entusiasti della prima ora, che fantasticavano di un presunto “effetto Bergoglio” (confondendo gli editoriali laudatori di Eugenio Scalfari con la realtà), negli ultimi tempi hanno riconosciuto le gravi criticità.
A molti cattolici oggi sembra di trovarsi di fronte a un immenso panorama di rovine. Ma sarebbe ingiusto addebitarlo tutto a questo Papa. Perché ognuno ha la sua responsabilità nella Chiesa, a cominciare dal ceto ecclesiastico.
Non solo. Il crollo dei movimenti ecclesiali, che furono formidabili negli anni di papa Wojtyla, è iniziato prima dell’arrivo di FranceIl pontificato di Papa Bergoglio va collocato nel contesto storico e geopolitico del suo inizio: il 2013. Con Francesco scompare dalla scena pubblica l’ultimo protagonista dell’epoca Dem (Obama/Clinton/Biden) durante la quale si è tentata una rivoluzione culturale (obiettivamente anticristiana), una deregulation antropologica parallela alla deregulation economica della globalizzazione.
Papa Bergoglio si è dovuto confrontare con questo uragano e con quell’establishment progressista con cui su una cosa si è scontrato: la sua opposizione alla guerra. Ma paradossalmente colui a cui Francesco ha manifestato aperta antipatia è il presidente americano più pacifista, Donald Trump, colui che si è opposto proprio a quell’establishment progressista. Il Papa argentino è stato esaltato addirittura come «il principale leader della sinistra» (Massimo D’Alema). Un’espressione assurda, che non gli rende giustizia. Tuttavia con lui nella Chiesa sono tornati davvero gli anni Settanta, quando la cristianità fu sconvolta da un uragano di ideologie mondane che desertificarono le parrocchie.
Joseph Ratzinger nel 2005 descrisse il periodo del post-concilio con parole che sembrano adatte anche a ciò che si è visto dal 2013: «Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero...
La piccola barca del pensiero di molti cristiani» disse Ratzinger «è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via...
Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa» proseguiva Ratzinger «viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie».
Per un singolare paradosso anche in questa stagione, come nel ’68, hanno dominato delle mode ideologiche con un’apparenza progressista, ma in realtà del tutto funzionali alla globalizzazione del turbocapitalismo (per esempio l’allarmismo sul riscaldamento globale e l’immigrazionismo, due pilastri del pontificato bergogliano).
ATTEGGIAMENTO ONDIVAGO
Sui temi etici, che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI avevano definito «principi non negoziabili», Francesco ha avuto un atteggiamento ondivago, a volte molto deciso in loro difesa, altre volte confuso o così ambiguo da suscitare l’entusiasmo dei media mainstream più ostili alla Chiesa. Il suo pontificato sfugge ai consueti schemi ideologici. Per esempio, ha pronunciato discorsi in cui ha valorizzato il patriottismo e le identità e altri in cui ha detto l’opposto. La chiarezza della guida è mancata quasi su tutto. Eccetto sul tema (bellissimo) della misericordia divina. E su quelli (discutibilissimi) del riscaldamento globale e delle migrazioni su cui Francesco ha avuto gli applausi dell’opinione pubblica progressista. Accrescendo così una sua popolarità mediatica che però non ha prodotto conversioni.
Il popolo cattolico è apparso spesso disorientato dalle esternazioni del Papa. Però lo ha sentito vicino nella sua continua predicazione sul perdono di Gesù, nell’accorata esortazione a prendersi cura dei sofferenti e dei poveri, in momenti di grande spiritualità come la consacrazione della Russia e dell’Ucraina al Cuore Immacolato di Maria (per fermare la guerra mondiale), nell’Anno Santo, in pagine commoventi come l’enciclica sul Sacro Cuore e in decisioni come il nulla osta a Medjugorje.
ARRIVAVA A TUTTI
Francesco è stato sempre animato dalla volontà di far arrivare a tutti, proprio a tutti, l’abbraccio di Cristo, la salvezza. Ma spesso, secondo i suoi critici, tale buona intenzione è stata tradotta in un modo che ha dato risultati opposti. Dividendo fortemente la Chiesa. È stato un bene - dicono molti spazzar via la «scelta religiosa» perché i cristiani devono impegnarsi a cambiare il mondo, ma è sbagliato dissolversi nel mondo, intruppandosi in gruppi ostili alla fede cattolica.
Era giusto criticare il clericalismo, ma - si osserva - senza screditare la Chiesa o sconcertare i semplici. Bellissimo proclamare che Dio è misericordia, ma senza accantonare la verità che è la prima carità. Ottimo valorizzare la collegialità, ma incomprensibile farlo solo a parole praticando un potere personale assoluto. Giusto bocciare un tradizionalismo che non sa stare dentro la storia, ma non si può dimenticare il magistero di sempre della Chiesa. Giusto infine guardare alle periferie, ma incomprensibile ignorare la Chiesa africana (che è quella più viva e in crescita) solo perché conservatrice.
Il ministero petrino non è solo un’istituzione, è affidato a un uomo e in certi casi prevalgono sul ministero l’opinione personale, le simpatie, le antipatie e i doppiopesismi. O i pregiudizi. Anche ideologici. Pure nel rapporto con i sistemi politici: si pensi all’occhio di riguardo che Francesco ha avuto per il regime comunista cinese.
Francesco ha messo in secondo piano l’Europa, culla del cattolicesimo: non l’ha mai richiamata alle sue radici cristiane - come facevano i predecessori - ed è sembrato considerarla come un ospizio che deve solo accogliere, senza fiatare, grandi masse di immigrati. Il risultato è stato desolante. Per l’Europa e per i cristiani. La cosa importante che Francesco lascia alla Chiesa è la consapevolezza che non può barricarsi dentro le mura della sua dottrina e dei suoi riti, ma deve far arrivare Cristo vivo a tutti gli uomini.
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