Vian: "Papa Francesco troppo autoritario, così ha diviso la Chiesa"

Vian: "Bergoglio ha governato col pugno di ferro, ha comunicato tanto ma ha banalizzato il messaggio. Ha usato l’omosessualità come strumento di governo. E su Becciu e gli abusi..."
di Lucio Espositomartedì 22 aprile 2025
Vian: "Papa Francesco troppo autoritario, così ha diviso la Chiesa"
5' di lettura

Come è stato il pontificato di Francesco? Può raccontare questi dodici anni in poche parole? «Un pontificato importante, di luci e ombre». Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano dal 2007 al 2018, autore nel 2024 del libro L’ultimo papa (Marcianum Press, tradotto in francese e spagnolo), non ha dubbi. Risponde come se si aspettasse la domanda.

È evidente che si sarà posto lo stesso interrogativo. Ci sono state più luci o più ombre?
«Luci nei primi anni, poi sempre più ombre».
Partiamo dalle luci.
«Dopo tredici secoli la novità di un Papa non europeo. Anche se i nonni di Bergoglio erano italiani e lui parlava un po’ di piemontese». Pure la scelta del nome, Francesco, è stata secondo molti una novità. «Una novità relativa, perché era nell’aria. Pochi ricordano che, in attesa della fumata bianca, in piazza San Pietro si aggirava un bizzarro personaggio con un saio e un cartello con scritto “Papa Francesco”. A parte questo dettaglio, il nome circolava tra i cardinali elettori».
Un’altra luce? 
«Bergoglio è riuscito a rovesciare la cappa di ostilità imposta dai media a Ratzinger, “il pastore tedesco” o addirittura Natzinger...».
Invece... 
«È stato uno dei Papi più importanti di sempre sul piano culturale e teologico. Anthony Grafton sulla New York Review of Books ha scritto che Benedetto XVI era paragonabile solo a Innocenzo III. E altri hanno evocato un altro gigante: Leone Magno, Papa dal 440 al 461».
La comunicazione è stata il tratto distintivo di Francesco. Come la giudica? 
«Con la comunicazione è arrivato dovunque, ma ha appiattito, banalizzato e inflazionato il suo messaggio. Insomma, l’ha usata in modo spregiudicato, da vero populista».
Per lei non è stato un grande comunicatore, quindi. 
«Sì, con i limiti che ho detto. Wojtyła era molto abile e Ratzinger aveva una comunicazione limpida ed efficace. I media hanno però deciso che era di destra e Bergoglio di sinistra. Benché Francesco fosse in realtà meno aperto di Benedetto XVI».
Che rapporto aveva con Papa Francesco? 
«Buono, anche se questo non influisce sull’idea che mi sono fatto del pontificato. Sono evidenti i limiti, dagli errori sugli abusi in Cile, e non solo, al processo Becciu. Soprattutto, ha governato in senso autocratico, autoritario, svuotando di potere la Segreteria di Stato».
In che modo lo ha fatto? 
«La sua riforma della curia e i provvedimenti sulle strutture vaticane hanno drasticamente ridimensionato il ruolo della Segreteria di Stato, centrale invece nella riforma disegnata nel 1967 da Paolo VI, che cercava di convincere più che vincere».
Torniamo al caso Becciu. 
«L’atteggiamento di Bergoglio nei confronti di Becciu si spiega nel quadro delle riforme amministrative ed economiche, per dimostrare che non si guarda in faccia a nessuno e che anche un cardinale può essere processato. Suscitando critiche, più che fondate: vi sono state una sorta di condanna preventiva e, durante il processo, il Papa ha deciso misure retroattive».
Però Bergoglio ha aperto alle donne. 
«Con affermazioni sacrosante, ma contraddette da fatti. All’apertura sul diaconato femminile non è seguito nulla e la nomina di una suora come prefetto dell’organismo preposto ai religiosi è stata accompagnata dalla nomina di un pro-prefetto cardinale...».
È stato il primo a parlare di froc***gine nella Chiesa.  
«Ha usato l’omosessualità come strumento di governo: con nomine, prese di posizione positive, ammiccamenti al pensiero dominante ed espressioni che personalità pubbliche non ripeterebbero».

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Un Papa opportunista? 
«Sono i fatti a portare a questa conclusione. Un esempio: il disastro delle benedizioni alle coppie omosessuali ha scontentato sia conservatori che progressisti». L’enciclica «Laudato si’» è una luce o un’ombra? 
«È uno dei testi più importanti e meglio riusciti del pontificato. Una bella enciclica sociale, nella linea della Santa Sede, su cui molti dovrebbero riflettere».
Il dialogo con le altre religioni? 
«Ha puntato sui musulmani ma ha fatto arretrare il dialogo con gli ebrei di decenni. Con quali risultati, poi?».
Che cosa ricorderemo di questo Papato? 
«Molti gesti e parole, non seguite però da fatti. Come nella gestione degli abusi, insufficiente».
Cosa salva oltre all’enciclica «Laudato si’»? 
«La volontà di riforma anche se poi ha cercato di realizzare i cambiamenti in modo contraddittorio».
Che Chiesa troverà il suo successore? 
«Dovrà governare una Chiesa divisa. Bergoglio non ha fatto nulla per unire e questo forse è il suo limite principale».
Come mai? 
«L’Africa si è rivoltata perla benedizione delle coppie omosessuali, in Germania ha deluso le aspettative dei progressisti, negli Stati Uniti i conservatori gli sono ostili, in America latina i cattolici sono sempre meno, l’Europa e l’Italia sembrano sempre più lontane dalla loro storia cristiana».
Che successore immagina dopo Bergoglio? Quale dovrà essere il suo tratto principale? 
«Dovrebbe essere un Papa che ricerchi la riconciliazione e l’unità. Bergoglio ha esacerbato gli animi con un’eccessiva personalizzazione del ruolo papale e molti silenzi».
Su cosa? 
«Su diversi fronti: l’aggressione all’Ucraina, le persecuzioni dei cristiani e di altri gruppi, le tendenze autoritarie in molti paesi, tra cui la Cina, l’Iran, il Nicaragua. E si può aggiungere che non è mai più tornato in Argentina...».

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Nel suo libro c’è il riferimento al possibile nome che sceglierà il successore di Francesco... 
«Sì, Giovanni XXXIV. Sia pure scherzando, lo ha detto almeno in due occasioni lo stesso Bergoglio».
Perché secondo lei, per Francesco il suo successore si sarebbe chiamato Giovanni XXIV? 
«La risposta forse è nell’immaginazione letteraria. Più volte Bergoglio ha raccomandato Il padrone del mondo, celebre romanzo di un altrettanto celebre convertito. Nel libro, pubblicato nel 1907, si racconta l’ascesa di un anticristo universalmente osannato, la persecuzione della Chiesa e la fine del mondo. Sullo sfondo, un Giovanni XXIV descritto come molto simile a Pio X».
Ci sono anche i nomi di due cardinali che potrebbero diventare Papi... 
«Nel mio libro riferisco le previsioni di molti giornalisti che hanno spesso indicato come papabili il filippino Tagle, considerato vicino alla Cina, o l’italiano Zuppi, appartenente alla comunità di Sant’Egidio, da molti criticata».
Lei cosa pensa, si lancia in una previsione? 
«Potrebbero esserci sorprese tra i cardinali, mai così numerosi e disparati. Per me candidati validi sono l’ungherese Erdö, il birmano Bo, lo svedese Arborelius, l’italiano Pizzaballa, ma tutto è possibile. E il conclave probabilmente non sarà breve come nel 2005 e nel 2013».