Scordiamoci una Chiesa "eurocentrica" perché, come suggerisce anche l'ambasciatore Giampiero Massolo, dopo Papa Francesco e il suo essere un Pontefice "arrivato dalla fine del mondo" davvero "nulla potrà essere più come prima".
Da anni, perlomeno dalla morte di Papa Giovanni Paolo II, si parla di un "Papa nero". Una formula addirittura abusata, se pensiamo che a metà anni Novanta i Pitura Freska, mitico gruppo reggae veneto, portarono una canzone con questo titolo sul palco del Festival di Sanremo ("Sarà vero / Dopo Miss Italia aver un Papa nero / No me par vero / Un Papa nero che scolta e me canson en venessian / Parché el 'se nero african", recitava il clamoroso ritornello).
Con l'avvicinarsi del Conclave, al via dopo il prossimo 5 maggio, è già scattato ovviamente il toto-Papa con i nomi dei cardinali favoriti per succedere a Francesco al Soglio pontificio. Esattamente come per qualsiasi elezioni politica (e prosaicamente, questo sarà anche il Conclave), tendenzialmente anche solo per scaramanzia chi parte in pole position poi finisce sempre fuori pista. "Bruciato", si direbbe dalle parti del Quirinale o di Palazzo Chigi. Ma il termine vale anche per San Pietro. Tuttavia, mai comunque in questo momento sembrano così alte le quotazioni per una fumata bianca in direzione Africa.
Il nome è quello del congolese Fridolin Ambongo Besungu, rappresentante di una Chiesa africana in crescita e dinamica. Il monsignore è tra i 135 cardinali con diritto di voto (da capire se si aggiungerà anche lo spagnolo Carlos Osoro Sierra, che compirà gli 80 anni il prossimo 16 maggio) e se la vedrà con alcuni temibili concorrenti: tre sono italiani, il segretario di Stato Pietro Parolin, l'arcivescovo di Bologna Matteo M. Zuppi, il patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa. Proprio la loro provenienza per così dire "interna" potrebbe penalizzarli, anche se monsignor Pizzaballa, molto vicino negli ultimi mesi a Bergoglio che lo sentiva quotidianamente, potrebbe far valere la sua carta "mediorientale", decisiva nello scacchiere geopolitico attuale.
Occhio anche all'ungherese Peter Erdo, al francese Jean-Marc Aveline, all'olandese Willem J. Eijk, oppure il filippino Luis Tagle e il brasiliano Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo di Manaus, simboli perfetti di una Chiesa globale.
Besungu, come spiegava Caterina Maniaci in un completo ritratto pubblicato da Libero lo scorso febbraio, quando Francesco lottava per la vita al Gemelli e già si parlava di Conclave, è un prelato dichiaratamente conservatore, pro famiglia e anti-gender. Più vicino a Ratzinger che a Bergoglio, insomma.
"La sua linea di azione, o meglio lo spirito che anima ogni sua azione, è quella di imparare a diventare realmente una Chiesa aperta a tutti, ma che non lascia nulla, proprio nulla della fede essenziale della Chiesa cattolica - scriveva un paio di mesi fa la Maniaci -. Un atteggiamento che anima gran parte delle gerarchie, del clero e dei fedeli cattolici africani. Definito, di volta in volta, tradizionalista, conservatore, accusato persino di essere frutto di un presunto asservimento a “potenze straniere” (in particolare russe) che foraggiano diocesi e chiese locali. Il cardinale Besungu, in realtà, appartiene ad una storia comune, la storia di uomini di Chiesa come i cardinali Robert Sarah, Francis Arinze, Bernardin Gantin".