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Re Carlo, il miracolo: in aula niente scontri, solo applausi e risate

Tutti, compagni compresi, sono accorsi a omaggiare il re bravo a conquistare destra e sinistra. Non a caso ecco che spuntano Elly Schlein e Fausto Bertinotti
di Fausto Carioti giovedì 10 aprile 2025

4' di lettura

Trentamila soldati inglesi morti per liberare l’Italia nella Seconda guerra mondiale, e rimasti qui, nei cimiteri di Cassino, Firenze, Coriano, Gradara... Quasi mezzo milione di italiani che vive e lavora nel Regno Unito. E le tragedie di Shakespeare ambientate in Italia, Keats e Shelley che riposano accanto alla Piramide Cestia, la maglia del Nottingham Forest color «rosso Garibaldi» e un’infinità di altri legami. Ora che le architravi del vecchio ordine multilaterale, dalla Ue alla Nato, vacillano, è bello e utile riscoprire certi rapporti a due. Così, passato il breve shock iniziale, dà conforto vedere re Carlo III sullo scranno più importante dell’aula di Montecitorio, con i presidenti di Camera e Senato accanto e la platea di deputati e senatori per una volta composta. Certo, le assenze giovano. Non c’è traccia - per dire - di Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Matteo Renzi e Carlo Calenda. In compenso c’è Elly Schlein, che parlotta con Mario Monti, e c’è Angelo Bonelli, che del monarca d’oltremanica può apprezzare le battaglie ambientaliste. Si rivedono i vecchi presidenti dell’aula: nell’attesa dei reali, Fausto Bertinotti scherza con Gianfranco Fini come se il “compagno” fosse lui e non Luciano Violante, una poltrona più in là. È accorso Roberto Fico, che voleva aprire il parlamento italiano come una scatola di tonno e ora non vuole perdersi l’emozione di applaudire un monarca straniero.

Non c’è Giorgia Meloni, che ha già incontrato Carlo nella sede di rappresentanza di villa Pamphilj. In serata sarà papa Francesco a ricevere la coppia reale in forma privata, prima della cena di Stato al Quirinale. Al centro degli scranni della Camera riservati al governo siede così Antonio Tajani. Soprattutto, non c’è dibattito: gli unici a parlare dopo gli inni nazionali, oltre a Carlo, sono Lorenzo Fontana, Ignazio La Russa e lo speaker che detta i tempi. Il quale sbaglia e dichiara la cerimonia conclusa quando l’ospite non ha ancora terminato il suo discorso: segue risata collettiva con un Carlo divertito, non la prima e non l’ultima della seduta. Per un’ora Montecitorio sembra la Camera dei Lord: ci voleva il re. Giornata da segnare per tanti motivi, insomma. È la prima volta che un sovrano britannico si rivolge all’intero parlamento italiano: Carlo ringrazia per «l’onore straordinario» di poter parlare davanti a «questa fondamentale istituzione democratica». È anche la prima volta che lui e Camilla tornano in Italia dopo l’incoronazione ed è l’anniversario del loro matrimonio: vent’anni esatti. Si presenta come «un vecchio amico», uno che «è stato con voi nei momenti più felici e in quelli più tristi della vostra vita nazionale». È bravo a toccare i punti giusti del sentimento collettivo italiano. Ricorda che Elisabetta II «non dimenticò mai la sua tappa a Capaci nel 1992, dove rese omaggio, pochi giorni dopo il suo assassinio, al vostro leggendario magistrato antimafia, Giovanni Falcone». E qui la platea si alza in piedi e applaude, standing ovation da destra a sinistra per il re che conosce le cicatrici della nostra repubblica, perché sua madre andò a pregare davanti a quel cratere. Privilegi della monarchia: i Windsor erano lì e nessun capo di Stato eletto democraticamente, trentatré anni dopo, potrebbe dire qualcosa di simile.

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Riesce a essere regale senza essere pomposo, e lo fa alternando le cose grandi e imponenti – i sacrifici di chi è morto in guerra, la pace «che non va mai data per scontata», il sostegno all’Ucraina, l’immancabile allarme per il riscaldamento globale – a quelle leggere. Inizia parlando in italiano: «Spero di non stare rovinando la lingua di Dante così tanto da non essere più invitato in Italia». Poi ringrazia gli antichi romani che «dettero ai britannici l’idea di mettere la testa di un re sulle monete, quindi sono particolarmente grato a loro». Chiede perdono a nome del suo popolo «per aver occasionalmente rovinato la vostra meravigliosa cucina: lo facciamo con il massimo affetto possibile...». Racconta una storia che molti dei presenti non conoscono: quella di Paola Del Din, partigiana della Brigata autonoma Osoppo, addestrata dai servizi inglesi a lanciarsi col paracadute. Il 9 aprile del 1945 divenne la prima donna paracadutista italiana a fare un lancio di guerra. Oggi ha 101 anni. Nessun gemellaggio: «Il nostro è un insieme di isole spazzate dal vento, il vostro una penisola baciata dal sole. Diversi sotto molti aspetti». Però Carlo ha ragione quando dice che sono differenze con cui ci completiamo a vicenda. E forse, complice anche una certa distanza, proprio lui e gli inglesi sono i vicini con cui abbiamo il rapporto migliore (chi ha dubbi può immaginare Emmanuel Macron, o un altro capo di Stato europeo, seduto nella poltrona più importante di Montecitorio, e vedere l’effetto che fa).
 

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