Alessandro Barbero è un grande storico, e su questo non ci piove, e un divulgatore ancor più implacabile. Ha creato un prototipo di io narrante, l’ha moltiplicato in sé stesso e ha finito per auto convincersi di aver realizzato un modello perfetto per piazze e tv, podcast e festival, aule universitarie e folle oceaniche, web e atmosfere casalinghe. È lui, sempre lui, col suo stile ammiccante e seducente di chi sta per rivelare solo a te un segreto gelosamente custodito, cifra espressiva di chi sa parlarti dei grandi eventi del passato come fossero facezie salottiere della quotidianità, e con la sicurezza di chi era proprio lì e ti racconta con emozione e partecipazione. La fisicità e la gestualità lo hanno aiutato, e deve essersene accorto quando hanno iniziato a imitarlo, bollino blu di raggiunta popolarità. Medievista di spessore, da qualche tempo ha fiutato e puntato l’età contemporanea distillando gocce di saggezza su regole e rimandi di lettura e rilettura di passato e presente; è il Metodo Barbero.
Il professore, dopo l’outing politico e l’adozione fideistica da parte di una sinistra sempre a caccia di figurine presentabili, non ce l’ha fatta proprio a fare a meno di mettere la firma anche sul raduno di piazza del 5 aprile, quello nominalmente pro Europa e contro la guerra, che messa così è una ricetta da global food che solo uno chef raffinato come Giuseppe Conte poteva elaborare nella sguarnita cucina a 5 stelle. In sette minuti e spiccioli ha arringato a distanza la folla sul tema del giorno, la guerra declinata in 50 sfumature di grigio e l’incubo del riarmo. E ce l’ha fatta eccome a proiettare il cuore in bilocazione grazie al webinar, e la mente con suggestivi parallelismi e assonanze di ricorsi vichiani, paragonando la nostra epoca al canto del cigno della Belle Époque soffocata dalla Grande guerra.
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LA VISIONE DEL MONDO
Tutto molto bello, avrebbe chiosato il raffinato Bruno Pizzul, se non fosse che a Barbero sfugge qualcosa del quadro di insieme, o forse la scarta perché non armonizzata alla sua Weltanschauung. Che è poi quella tessuta e ricamata nella sua intensa attività divulgativa, dall’eloquio ipnotizzante che ti fa superare anche qualche disinvolta licenza concettuale. Come prendere una parte per il tutto e servirla con garbo e sussiego. È stata a suo dire la febbre europea di riarmo e di sfoggio di muscoli a innescare e far deflagrare il primo conflitto mondiale, la ricerca ossessiva di alleanze, il militarismo e la sete di potenza. Neanche una parola invece, a esempio, sulle nazionalità schiacciate dall’assetto politico di quell’Europa, quelle che daranno vita a stati rinati o inesistenti, come la Polonia cancellata dalla cartina per 123 anni e la Cecoslovacchia saldata a freddo nel cuore del vecchio continente. Tutto il sistema scaturito con la pace di Versailles, ovvero quello voluto dalla diplomazia che oggi si invoca come panacea per rimettere a posto i cocci della crisi successiva alla caduta del Muro di Berlino, non ha resistito al verdetto della storia.
IL PASSATO SELEZIONATO
Se nel passato si fa selezione mirata e si prende solo quello che serve, ci possiamo trovare tutto e il contrario di tutto. E spiegare così qualcosa senza spiegare nulla. Il suicidio dell’Europa, per usare le parole conclusive di Barbero mentre interpretava sé stesso in digitale, non è roba del 1914, altrimenti la Grande guerra sarebbe davvero stata l’ultima come pacifisti e sognatori speravano nel 1918, e ci sarebbe stata risparmiata la seconda, preceduta dai tre totalitarismi criminali di fascismo, nazismo e comunismo. Con qualche distinguo per Barbero, che avversò la risoluzione del Parlamento europeo del 2019 di equiparazione del comunismo al nazifascismo, tuonò contro la facoltà di qualunque parlamento di esprimersi sulla storia e ne concluse che i polacchi, oltre ad aver partecipato «con entusiasmo» allo sterminio degli ebrei, hanno una concezione distorta del passato secondo cui falce e martello fanno orrore quanto la svastica. Ecco un tema interessante per una lectio magistralis a Varsavia o a Cracovia. Tanto per vedere l’effetto che fa.