Ho troppo rispetto per Vittorio Sgarbi e troppo poca intimità con lui per potermi permettere incoraggiamenti o - peggio ancora - consigli, meno che mai pubblici. Anzi, pur comprendendo (e condividendo) i sentimenti di molti di coloro che in questi giorni lo hanno sollecitato e perfino “scosso” affinché torni presto nell’arena, credo che un certo grado di riserbo sia raccomandabile. Se si è colpiti alle spalle dal “male oscuro”, se si incontra - in qualsiasi momento della propria vita - quello che Winston Churchill chiamava il “cane nero” della depressione, temo che non bastino le buone parole e le esortazioni degli amici. Si tratta - con pazienza e soprattutto fortuna- di ritrovare in sé le ragioni per riprendere una camminata improvvisamente divenuta più faticosa, in ripida salita.
E allora posso solo sperare che il demone sgarbiano torni a fiammeggiare, che il suo spirito apparentemente indomabile si manifesti di nuovo. Di più non oso. E però - questo sì - vorrei ricordare un episodio lontano, e che invece nella mia mente e nel mio cuore è vicinissimo. Siamo in una domenica di marzo del 1996, in una di quelle mattinate di fine inverno in cui Roma è già invasa dal sole e da un tepore primaverile anticipato. Il cinema Adriano in piazza Cavour è stracolmo, perché c’è la prima uscita pubblica di un oggetto bellissimo e fragile, una lista elettorale chiamata Pannella-Sgarbi.Per me 23enne (e chi te li ridà i sogni di quegli anni?) e per tanti altri nel pubblico, si tratta non solo di una speranza ma di una promessa magica: assistere a un’operazione politica liberale e libertaria, garantista e anticonformista, possibilmente alleata con il centrodestra.
Marco Pannella lo conoscerò direttamente solo due anni dopo, nel ’98, quando inizierà la mia militanza politica, ma in quel momento è già un mito per me. $ nella fase che considero più creativa e promettente della sua vita politica: sì, certo, le vecchie battaglie sui diritti civili ci sono ancora, ovviamente, ma stanno più sullo sfondo. In primo piano c’è un tentativo liberale a tutto tondo: riforma “americana” delle istituzioni, proposte liberiste (e contro il vecchio sindacato) in economia, campagne sulla giustizia. E poi come sempre Washington-Londra-Gerusalemme come bussole geopolitiche.
Vittorio Sgarbi è una centrale di energia. Sì certo, i libri, le conferenze, la capacità di curvarsi e di offrire osservazioni illuminanti su Piero della Francesca o su Caravaggio. Ma - per tanti di noi - c’è soprattutto lo Sgarbi campionissimo del “polemos” televisivo, il vendicatore degli spiriti liberali schiacciati dal cattocomunismo imperante (a sinistra) e da un eccesso di moderatismo (a destra). Sgarbi dice tutto quello che vorremmo dire, e lo dice come noi desidereremmo dirlo: in modo colto e sfrontato, altissimo e bassissimo, senza falso rispetto umano (nota bene: per i cattolici il “rispetto umano” è un peccato). Vederli insieme, Marco e Vittorio, scalda l’anima. Non posso sapere - quella domenica- che non si sono capiti, o forse - chissà - si sono già capiti benissimo, e dunque litigheranno. Nessuno sa cosa voglia davvero Marco: l’accordo con Berlusconi (per portare la lista organicamente nel centrodestra) lo vuole stringere o no? È sincero quando chiede a Sgarbi di tirare insieme la corda, di minacciare Silvio prospettando la corsa solitaria della nuova lista per ottenere le migliori condizioni per l’alleanza? O invece, in un angolo della sua mente, c’è già l’idea della corsa solitaria, nobile ma perdente, fuori dal centrodestra?
LA TRATTATIVA FALLITA
E lui, Vittorio, cosa pensa sul serio? Aiuterà Marco a trattare con Silvio con maggiore potere contrattuale, o invece è già d’accordo con Forza Italia? Dal palco, Sgarbi decreta- tra gli applausi e un’ovazione del cinema Adriano - che quell’alleanza con il centrodestra «il popolo la vuole e il popolo l’avrà». E Marco? Anche a un ragazzino come me, ancora estraneo alla politica attiva, pare incazzatissimo: no, reagisce a caldo, non dobbiamo dare l’idea che l’accordo con il centrodestra sia scontato, che questa lista sia già “acquisita”. Finirà malissimo quella trattativa e quindi pure la primavera elettorale. Miopi e ingenerosi, i partiti del centrodestra offriranno a Pannella un numero molto più basso di collegi uninominali “buoni” (cioè vincenti) di quelli garantiti al Cdu buttiglioniano: un chiaro segnale di svalutazione della componente liberale-libertaria. Marco si incazzerà e farà saltare tutto: quasi trent’anni dopo, non so ancora dire se più deluso o sollevato da quella lite furibonda. Sgarbi si contro-incazzerà, candidandosi nel centrodestra e non nella lista alla quale pure lascerà il suo nome. La lista Pannella-Sgarbi resterà inchiodata intorno a un irrilevante 2%. Irrilevante mica tanto, in realtà: perché il centrodestra perderà per una percentuale inferiore al 2% in un numero di collegi uninominali che avrebbe consentito alla coalizione di battere la sinistra e vincere le elezioni. Che invece saranno rovinosamente perse.
Morale: un disastro per tutti. Marco fuori dal Parlamento, Sgarbi dentro ma insofferente verso un centrodestra in chiaro deficit di liberalismo, Silvio sconfitto. E la coalizione priva di una sua componente liberale e libertaria. Vorrei dire che, tanto tempo dopo, siamo ancora lì. Al centrodestra manca quella sfumatura pure adesso. Intendiamoci: diversamente dal ragazzino di allora, seduto in quella platea dell’Adriano, oggi non sono necessariamente convinto che serva una “lista”, un “partito” con quelle caratteristiche. Ma un’iniezione di quelle idee e un contributo di quelle persone, assolutamente sì. E non si vede né l’una né l’altra cosa. Tuttora, e credo di saperne qualcosa anch’io, diciamo, tanti spiriti liberali sono guardati a destra con un misto di vera simpatia e un residuo di sospetto. Vai bene se bastoni il piddino in tv, ma vai meno bene se osi suggerire qualcosa. Pazienza. Intanto, caro Vittorio, se per caso leggerai queste righe, spero di averti fatto venire un po’ di nostalgia per quella lontana primavera, pazza, bellissima e rovinosa. Ti ho incontrato mille volte in questi ultimi anni e non ti ho mai chiesto la tua versione dei fatti. Mi piacerebbe farlo, se vorrai. Nel frattempo - vale per allora e vale per ora - penso che anche la letteratura britannica abbia avuto il suo “carpe diem”. $ un antico e struggente verso del poeta Herrick, che invita a «gather rosebuds while we may»: raccogliere boccioli di rosa quando possiamo. Nel 1996 non fu possibile per i liberali e libertari farlo insieme con il centrodestra. Sarebbe un peccato se passassero altri trent’anni prima che qualcuno ci riprovi. Auguri, Vittorio. Non lo sai ma ti voglio bene.