
Effetto-Serra: a Roma sfilano i salotti dell'irrilevanza politica

Dal sabato fascista siamo arrivati in un amen al sabato serrista (nel senso di Michele Serra). Allora – tragicomicamente – era tutto un trionfo di esercizi ginnici per forgiare la gioventù nazionale; oggi invece basterà una passeggiata elegante, chicchissima, tra i vipponi progressisti e la solita compagnia autoreferenziale. In piazza ci saranno i salottieri per antonomasia, il collaudatissimo giro romano “de sinistra” (non si esce dal centro, al massimo Rione Monti). Solo loro, sempre loro, ancora loro. Non ne azzeccano una da trent’anni ma sono strasicuri di stare “dalla parte giusta”. E sul palco invece? Le convocazioni sono state diramate, e il ct Michele Serra ha scelto l’undici di partenza schierato con un classico 4-3-3. In porta c’è Corrado Augias (userà forse come pali i plichi dei contratti ottenuti negli anni a La 7 e a Rai 3). La linea difensiva vede il quartetto Bisio-Bizzarri-Littizzetto-Albanese. Fosforo a centrocampo con i tromboni Carofiglio-Scurati-Massini. Trio d’attacco brioso con Jovanotti che canta, il sindaco Gualtieri che suona, e Lella Costa che piange. In panchina un po’ di Sant’Egidio (Andrea Riccardi), tutta la Vecchioni family (Roberto e Francesca), più i giuristi della sonnolenza (Zagrebelsky). Restano indisponibili (parole dolci ma rimangono a casa) Prodi e Bersani: andate voi, noi commentiamo dalla tv.
COLPO DI SCENA
Ieri si è aggiunto in extremis Fabio Fazio: e in effetti la scaletta della giornata pare una puntata extralarge del suo programma: una parata di autoproclamati “buoni”, una galleria del pensiero “accettato”, con la feccia (i fascisti, i muskisti, i trumpisti, quella cosa fastidiosa chiamata “popolo”) tenuta fuori, a distanza di sicurezza. Ma, estetica buonista a parte, ciò che colpisce è la spettacolare irrilevanza contenutistica della manifestazione. Politicamente parlando – ne abbiamo scritto nei giorni scorsi – è un guazzabuglio: ognuno andrà recitando le sue giaculatorie. Chi avvolto nel bandierone eurolirico, chi in quello ucraino, chi – neanche tanto sotto sotto – tifando Putin.
E tuttavia – ecco il punto – tutti sanno che nella manifestazione di oggi non succederà niente di rilevante, niente di influente. Non dico i destini del mondo, ma nemmeno quelli più condominiali della sinistra italiana saranno determinati dalle parole che verranno pronunciate. Diciamocelo chiaramente: la pace, la non pace, la guerra, la non guerra, ogni esito (buono o no, equo o no, giusto o no) a cui assisteremo nelle prossime settimane non avrà nessuna parentela con questa sfilata di fine inverno e inizio primavera, non una fashion week, ma un fashion weekend romano.
IL NULLA
Eppure i protagonisti sembrano compiaciuti di questa assenza di un’idea forte, di una proposta, di una parola che dica qualcosa. Prendete le dichiarazioni di Michele Serra nelle conferenze di presentazione dell’evento, una supercazzola da antologia tognazziana: «L’Europa come mancanza, come qualcosa che stiamo aspettando», «la reazione della gente comune è stata empatica», «è una manifestazione essenzialmente sentimentale, di gente che si sente sola e vorrebbe sentirsi meno sola». Domanda: «E qual è la piattaforma politica della manifestazione?». Tenetevi forte che arriva la risposta, veltronismo d’annata, ma-anchismo in purezza: «È molto indeterminata e molto plurale. Vogliamo l’Europa. Gli europei ci sono. Vorremmo che ci fosse anche l’Europa. Il fatto che ci sia una piazza plurale mi farebbe molto piacere. Ci ritroviamo intorno a delle domande, le risposte poi non sono univoche». Capite? Siamo in presenza di un trionfo di indeterminatezza, di una vaghezza esibita e proclamata. Il nulla indossato con stile. Lotta di classe? Al massimo, lotta di prima classe. Vacui e fighetti. Il pride dell’irrilevanza.
Dai blog

Baldinini festeggia 115 anni con l'ingresso nel registro dei marchi storici
