
Elsa Fornero oltre il delirio: "L'Italia non ha nulla da insegnare all'Arabia Saudita"

La filosofa Michela Marzano si consola del fatto che i primi tre classificati a Sanremo, tutti uomini, abbiano trionfato raccontando le fragilità del genere maschile. Olly rimpiange la fidanzata perduta e si strugge nella speranza di tornarci insieme. Lucio Corsi non si vergogna nel raccontare di non essere mai stato un duro e ci fa sapere che comunque ha fatto pace con se stesso. Brunori Sas vuole bene alla figlia ma è assalito dai dubbi dell’amore genitoriale e non sa come accorciare le distanze con il sangue del suo sangue. Evviva, se il patriarcato è sconfitto a Sanremo, specchio dell’Italia, c’è speranza, conclude. Spiace raffreddare gli entusiasmi della signora, ma se il jukebox fosse davvero un termometro così fedele della società, il problema del maschio padrone sarebbe risolto fin dai tempi di Lucio Battisti. Sessant’anni fa, quello che è tuttora uno dei più grandi cantanti italiani chiedeva scusa al tizio che trovava in casa con la sua ex fidanzata, cercava una donna per amico e, se qualcuna lo scaricava, reagiva determinato: «Da domani qualche cosa io farò... Piangerò». Più docile e rieducato di così... Non per dar lezioni comunque, ma tutti gli esperti del tema spiegano che il più pericoloso per le donne non è il maschio alfa, che quando lo molli riesce a farsene una ragione, ma proprio quello fragile che, abbandonato, perde il senso di sé e diventa distruttivo.
Infatti Simonetta Sciandivasci, giornalista dalla parte delle donne, almeno nelle intenzioni, non se la beve. Se al Festival i maschi sono andati meglio è perché le canzoni più belle sono state scritte per loro mentre le donne hanno dovuto accontentarsi di materiale di risulta, azzarda. D’altronde, riflette prendendo coraggio, è una spiegazione coerente con il clima maschiocratico di questa edizione sanremese dove, orrore, perfino Elodie, star anche dei gay-Pride e che piuttosto che votare Meloni si taglierebbe un braccio, tra gli applausi adoranti dei giornalisti progressisti, ha osato dire di «voler fare la femmina». E se poi la direttrice d’orchestra ha abiurato il femminismo chiedendo di chiamarla “direttore” e Bianca Balti si è fatta presentare come “madre e guerriera” senza neppure accennare a un moto di protesta... come dire, tre indizi fanno una prova.
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COMPLOTTO
Considerato che la giuria avrebbe premiato Giorgia, che esorta le donne ad avere cura di se stesse nelle storie d’amore, o Simone Cristicchi che si occupa della mamma malata, e poiché immagino che al televoto abbiano preso parte spettatori di ambo i sessi, varianti lgbtqia+ comprese, comincio a sospettare che la cinquina finalista di soli uomini dell’Ariston sia l’esito riuscito di un complotto femminista. Qualcuno deve aver realizzato che ultimamente si parlava troppo di temi secondari come l’Ucraina, il destino dell’Europa e i conti del Bel Paese e allora serviva uno choc, come mister Muscolo trionfatore al Festival, una scusa per riportare il patriarcato al centro del dibattito. L’ha capito subito quel furbone di Luca Marinelli, eccellente attore, protagonista della serie tv “M.”, sull’ascesa di Benito Mussolini, talmente antifascista e a disagio nei panni del Duce, così almeno ha detto, da essersi già candidato tre o quattro volte per un’ipotetica seconda serie, che a questo punto gli autori saranno costretti a girare pur di farlo tacere. «Siamo tutti, uomini e donne, vittime del patriarcato», ha dichiarato a Berlino presentando il suo ultimo film, Paternal Leave, e non Love, che lo vede nei panni di un padre in fuga dal ruolo. Pareva un po’ l’Alberto Sordi di «A me mi ha rovinato la guerra», non fosse che ha aggiunto «meno male che il femminismo c’è». Se ha ragione Marzano, gli daranno l’Oscar; se invece l’ha vista giusta Sciandivasci, la sua carriera terminerà con la scena che lo vede a testa in giù a piazzale Loreto.
IDEE CONFUSE
Sul patriarcato, in effetti, il mondo progressista ha le idee confuse, e non stecca solo a Sanremo. Vorrebbero tanto, i sinistri, sostenere la causa femminile, ma c’è il fattore Giorgia, la premier, non la cantante, che li spiazza. Il fatto che Meloni sia donna non significa, giustamente, che sia brava; altrimenti lo sarebbe anche Elly Schlein, ormai più apprezzata dal governo che dall’opposizione. Tuttavia la critica, in mancanza di argomenti più solidi, sovente sconfina nel sessismo. Massimo Giannini, ospite di una Lilli Gruber forse in quel momento distratta, ha parlato la scorsa settimana della premier come della «ragazza pon pon di Donald Trump». E Giuseppe Conte, ieri, invocando una fantomatica conferenza di pace con la Cina, che lo vedrebbe nelle vesti dell’avvocato di Xi Jinping e non del popolo italiano, ha ripetuto l’insulto. Lui, che quando il presidente americano l’ha ribattezzato “Giuseppi” si è appuntato il nomignolo come una medaglia, non capendo che il magnate si riferiva al suo sdoppiamento politico: prima con Matteo Salvini, poi con Matteo Renzi e Nicola Zingaretti.
L’EX MINISTRO
Sempre meglio comunque di Elsa Fornero, alla quale questo centrodestra fa talmente schifo da costringerla a chiedersi cosa mai noi abbiamo più da insegnare all’Arabia Saudita, che ha tenuto ben due conferenze sui cambiamenti nel mondo del lavoro, in tema di diritti umani e delle donne, visto che da noi «le carriere femminili sono ancora fortemente ostacolate» e «il nostro modello di protezione di chi tira la carretta si è indebolito». Lo domandasse ai duecento e passa sauditi decapitati ogni anno o alle signore, ancora schiave della welayah, la legge che le obbliga ad avere un tutore. Forse alcune donne non hanno focalizzato che il patriarcato è un problema serio e trattarlo in maniera grottesca, cercandolo in ogni manifestazione e angolo d’Italia, può essere controproducente. Non sia mai che subisca la stessa sorte dei deliri del politicamente corretto, capaci di innescare un effetto boomerang azzerante. Le buone ragioni talvolta nascondono cattive intenzioni.
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