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Se anche per Papa Francesco bisogna essere patrioti

Antonio Socci
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«Dovete essere patrioti, amare la vostra Patria e proteggerla». Chi ha pronunciato questa esortazione così controcorrente, nei giorni scorsi, rivolgendosi ad alcuni giovani? Qualche leader politico di quelli che vengono sprezzantemente definiti “sovranisti”? No, Papa Francesco. Ma è passata inosservata.

Parlava a dei giovani ucraini e il suo non era certo un inno alla guerra (che giustamente vorrebbe fermare), tanto è vero che li ha invitati a portare sempre con sé un Vangelo e ha spiegato loro: «La pace si costruisce col dialogo, non stancatevi di dialogare». Ha perfino accennato la parola “perdono”.

Non è la prima volta che Francesco parla di patria. Già nel 2018, in un incontro con i giovani cileni, aveva detto: «La strada per l’orizzonte dev’essere fatta con i piedi per terra. E cominci con i tuoi piedi nella terra della patria. E se non ami il tuo paese, non credo che verrai ad amare Gesù e ad amare Dio». E poi aggiunse: «L’amore per la madrepatria è un amore per la madre. La chiamiamo Patria, perché qui siamo nati; ma lei stessa, come ogni madre, ci insegna a camminare e si offre a noi così da farla sopravvivere a un’altra generazione».

Lo ha ripetuto anche nel 2024 parlando della crisi demografica di Paesi come l’Italia: «Noi dobbiamo prendere sul serio il problema delle nascite, prenderlo sul serio perché si gioca lì il futuro della patria, si gioca lì il futuro».

Sono parole importanti perché oggi, su questi temi, c’è un grande scontro culturale. E si ripropone sempre. Non solo quando si parla di identità del nostro Paese o quando si parla di immigrazione e integrazione, ma perfino quando si parla di economia (e si dovrebbe declinare in termini di “interesse nazionale”), quando si parla di sovranità, di sicurezza nazionale e pure di dazi. Addirittura quando, di recente, si è discusso dei nuovi orientamenti per i programmi scolastici: ci sono state polemiche sull’importanza dello studio della storia d’Italia e d’Europa. Si è detto che il ministero, con questa sottolineatura, era troppo identitario.

Patria e identità sono il grande tabù. Parole impronunciabili. Si è arrivati a sostenere l’assurdo, ovvero che non esista un’identità italiana. È la negazione della realtà che è tipica delle ideologie. Infatti l’Italia, con la sua cultura e la sua storia, perdura e fiorisce da tanto tempo e ha illuminato il mondo per secoli.

Ogni popolo è una ricchezza per l’umanità. Ben lo sala Chiesa Cattolica. Papa Francesco disse: «La Chiesa ha sempre esortato all’amore del proprio popolo, alla Patria». È un magistero costante fin dai tempi di Leone XIII: «La legge naturale ci ordina di amare di un amore di predilezione e di dedizione il Paese in cui siamo nati e cresciuti». Pio XII insegnò che, pur cercando la fraternità universale, l’ordine della carità impone «un amore più intenso e fare del bene di preferenza a coloro cui siamo uniti da legami speciali».

L’idea dell’identità particolare come ricchezza è il vero punto di frattura oggi in Occidente. L’ideologia woke infatti ha molte declinazioni, più e meno estreme. Ma una delle sue costanti – come spiegò Joseph Ratzinger - è quell’«odio di sé» che circola nei paesi occidentali.

A ricordare l’espressione di Benedetto XVI è stato Massimo De Angelis, nel libro “Il nuovo rifiuto di Israele” (Belforte). Egli sviluppa il concetto parlando del «rifiuto crescente del proprio passato, vissuto come un inutile ingombro». Poi si chiede: «Come definire questo pensiero dominante? In un solo modo. Come progressismo. Che non va confuso con l’idea di progresso ma ne costituisce una profonda alterazione».

De Angelis – che peraltro viene da un passato di sinistra – prosegue così la sua riflessione: «In Occidente oggi, a causa dell’ideologia progressista e globalitaria, ogni costituzione identitaria desta sospetto. Se l’uomo è in realtà un “particolare” che si apre all’“universale”, producendo perciò vita umana e storia, per il progressismo odierno della fine della storia è valore solo l’universale contro il particolare e quindi la verità è un’omogeneità uniformante». È «un’ideologia che considera ogni identità nazionale o religiosa come un ingombro» (da qui anche l’ostilità contro il sionismo). Oggi sentirsi italiani o francesi o cattolici «appare a molti come un impaccio sulla via del sogno cosmopolita. E tanto più il sentirsi ebrei e israeliani».

Secondo l’ideologia woke solo i popoli che loro ritengono oppressi dall’Occidente hanno diritto a un’identità e alla difesa di essa. Ecco spiegato l’atteggiamento progressista nei confronti degli immigrati o l’appoggio alla causa palestinese. Lo stesso progressismo che sottovaluta il problema rappresentato per noi dall’Islam o dalla Cina.

Ma – conclude De Angelis – «dinanzi alla sfida delle altre culture l’Occidente, e innanzitutto l’Europa, debbono porsi soprattutto un interrogativo: qual è la nostra identità più profonda?... quale identità se non, innanzitutto, quella ebraico-cristiana?». Non è un discorso confessionale. Ciò che conta è la cultura in cui si è nati, che ha unito Gerusalemme, Atene e Roma. Infatti è stato Benedetto Croce, il padre del pensiero laico e liberale, ben 83 anni fa, a scrivere «Perché non possiamo non dirci cristiani».

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