"Chiamate Luca!". E ogni problema era già risolto
Ti attendono campi sconfina- ti, verdi rettangoli dove corre una palla, il tuo gioco preferi- to, quello che ti strappava a qualsiasi obbligo, ti cattura- va, ti rapiva e ti consegnava all’epica. Ci saranno praterie dove cavalcano le tue idee, cieli dipinti di blu di Prussia, gallerie, collezioni, colpi di colore, sculture, proiezioni, tutto quello che non poteva sfuggirti nell’immagine. Ti stupirai nel vedere teatri sospesi tra le nuvole dove risuonano le canzoni che amavi commentare. Ti chiamavi Luca ed eri il Vangelo, ti sposavi con Beatrice ed eri la bellezza. Qui eri «chiamate Luca! » e non c’era bisogno di aggiungere altro perché la redazione di Libero ti riconosceva il potere supremo della parola, il tocco di genio con il quale risolvevi ogni dilemma, quello del direttore («chi cazzo scrive ’sto pezzo?»), quello del caporedattore («e ora come me la cavo in pagina?»), soprattutto quello del lettore al quale offrivi capriole, giochi nell’aria, apparizioni e sparizioni, profondissimi ragionamenti rinchiusi in uno sberleffo. Quanto ti abbiamo amato, Luca. Ce ne siamo accorti adesso che abbiamo un macigno nel cuore e uno squarcio in pagina.
Ho sperato, te lo confesso, che tu facessi un altro miracolo, di quelli che ti venivano con il tuo stile, «vabbé ti faccio tremila battute», non lo hai fatto solo perché sei destinato a volare più in alto, sei sempre stato così, terrestre ed extra. Ho sempre pensato che nella tua penna ci fosse mercurio, così reattivo a qualsiasi sollecitazione, temperatura, cambiamento nell’aria, poi ho capito che la qualità era un’altra, era la potenza dell’umanesimo, di una cultura sconfinata che sapeva godere dei piaceri dell’alcol, del cibo e della vita vissuta. L’altro ieri mi hai scritto “Viva il latino alle medie!” e tu non sai che cosa hai combinato andando via, come farò adesso senza le nostre sublimi cazzate che poi conducevano a un’analisi sfrontata, coraggiosa, controcorrente su Mussolini, alla tua capacità di vedere futurismi, nuovi linguaggi anche dove a me sembrava ci fosse il buio. Luca Beatrice tu non lasci un vuoto, perché ci hai riempito tutti dell’inestimabile valore della gioia di vivere e conoscere.
Pezzo sull’architettura? Fatto. Canzonatura su Sanremo? Strafatto. Saggio su Andy Warhol? Missione compiuta. Il sogno di ogni direttore, questo sei stato. Amavi Libero così tanto da prescindere dal direttore, quando Alessandro Sallusti è andato a Il Giornale, tu hai scelto questa nave corsara e Sandro pur amandoti, da gran signore, ha accettato il tuo verdetto. E ti capisco, questo è un giornale su misura per sagome come noi, un abito sartoriale, disegnato da un fondatore che ha sempre dato del tu all’eleganza e alla libertà, Vittorio Feltri. Tutti quelli chiamati al timone e a versare l’inchiostro su queste pagine, alla fine non possono che amarlo, Libero. Questa è una famiglia, non è solo un giornale, qui uno decide ma i vaffanculo sono per tutti, anche il capitano lava il ponte della nave. Oggi è il giorno del dolore ma domani sarà peggio, quello dell’assenza. Che ti sia lieve la terra e ti baci gli occhi la luce della fantasia, un giorno ci rivedremo e torneremo a fare un giornale insieme, «chiamate Luca! ».