Martina Pucciarelli, il dramma dell'ex Testimone di Geova: "I miei? Orge in casa però mi volevano vergine al matrimonio"
Una intervista commovente, forte, come il libro Il Dio che hai scelto per me (edito da HarperCollins). Il titolo spiega già molti aspetti del dramma di Martina Pucciarelli, che in quelle pagine e al Corriere della Sera ha raccontato come è cresciuta in una famiglia di Testimoni di Geova che oggi potremmo dire "disfunzionale" e a uscire da quel vortice di settarismo ed estremismo religioso.
La ragazza, oggi 37enne, ha rotto con la comunità in cui era cresciuta nel 2016, non senza profondi traumi. Si parte da un drammatico evento autobiografico, le molestie sessuali subite da giovanissima a opera di un amico di famiglia. "Per me quel fatto è diventato un tabù per tanti anni. Il dolore più grande è stato che non venisse data importanza alla cosa. Devo riconoscere a mia madre che lei se ne era accorta, io le ho chiesto di portarmi da una sorella di fede che era come una seconda madre, cui ero legatissima e lei ha peccato di superficialità. Comunque ci sono ragazze che hanno subito abusi ben peggiori".
Uno dei motivi di rottura con i Testimoni di Geova è stata la difficoltà nel rimanere incinta. "Mi ero sposata, i figli non arrivavano. E dicevo a Geova: 'Sono sempre stata brava e ubbidiente e ho sempre fatto quello che volevi, ho rinunciato a tante cose per te e una cosa ti chiedo, una cosa voglio, perché non me la dai?'. Ci credevo e all’epoca pensavo che mi stesse punendo per qualcosa che non avevo capito. E poi ho fatto la fecondazione assistita, sempre secondo le regole della comunità, con il seme del marito, ma lì mi sono detta che il figlio non me l’ha dato Dio ma la scienza".
Decisiva anche l'influenza della terapia. "Era il 2014, e io ero al 7° mese, aspettavo il secondo bambino, e sentivo il bisogno di confrontarmi con qualcuno che non fosse della comunità, e la gravidanza mi ha dato la scusa per andare in terapia, che è vista malissimo. In genere ti fanno fare chilometri per andare da psicologi testimoni di Geova. Io con la scusa che ero incinta e che una sorella di fede che lavorava in una struttura sanitaria aveva iniziato a fare psicoterapia da una sua collega, ho detto a mio marito che se ci andava lei, potevo andarci anche io".
Martina ricorda le parole della terapista: "Se ti prendo e ti metto in un altro contesto, tu funzioni". Proprio i figli, la loro libertà sessuale, l'esigenza di avere una vita come quelle degli altri per esempio potendo festeggiare Natale o Carnevale, sono stati la molla per uscire dalla comunità.
Dei Testimoni di Geova rimpiange "la fede" ma critica le imposizioni sull'amore: "Si arrogavano il diritto di dirti chi dovevi amare". E li accusa del peccato di ipocrisia: "Ci sono persone che spendono la vita per il prossimo, dedicando tempo non pagato a predicare l’amore, e poi in casa magari non parlano con i figli o rinunciano a loro". Finzione, anche riguardo al sesso, per salvare la reputazione: "Avevo capito che mio fratello aveva un altro padre biologico, prima che ce lo dicesse mia nonna e poi mio padre. Ma di recente ho scoperto un’altra cosa sconvolgente. Mio fratello maggiore è tornato da Roma perché era morto il suo padre biologico e si è presentato con un plico di lettere di mia madre rivolte a quest’uomo, il suo amante, nei primi anni 80". La verità era che padre e madre vivevano una vita libertina: "Una giovinezza di eccessi, mio padre l’ha confessato a mio fratello. Questa era la loro maniera di ribellarsi. Alla fine, si sono auto-puniti... convertendosi. Ho provato rabbia, giustificata, perché c’è una via di mezzo tra fare orge in casa e costringermi a sposarmi vergine. Invece, loro hanno scelto gli estremi. Hanno immolato me per espiare i loro peccati".