Cecilia Sala, Davide Romano accusa: "La sinistra ipocrita non condanna il regime"
«Dovremmo smettere di chiamare Khamenei presidente: le cose vanno chiamate con il loro nome. Questi sono dittatori e sarebbe il caso di essere più precisi con le parole». Davide Romano, direttore del Museo della Brigata Ebraica, punta il dito contro l’ipocrisia della sinistra, che solo dopo l’arresto della giornalista Cecilia Sala sembra essersi accorta che in Iran c’è un regime estremista.
Finalmente l’hanno capito anche loro, direttore.
«A sinistra c’è un grave problema: non riescono a distinguere tra il bene e il male. Abbiamo visto che dal 7 ottobre ci sono state numerosissime proteste contro Israele, che è dalla parte delle democrazie, mentre non vediamo altrettanto impegno contro dittature spietate come quella iraniana. Regimi feroci peraltro nei confronti delle donne e delle persone Lgbt a cui la sinistra, a parole, tiene tanto. Vediamo la segretaria del Pd Schlein che parla sempre di palestinesi, critica solo Israele e non riesce a vedere il disastro in Siria o in Iran».
Cosa ne pensa del caso Cecilia Sala?
«Sala ha tutta la mia solidarietà e auspico che il governo italiano faccia il possibile e l’impossibile per farla tornare in Italia. Ma poi basta. Troppe volte in passato il governo ha pagato (a volte anche con la vita di servitori dello Stato) per liberare chi si reca in terre di governi mafiosi e criminali. Certamente si può andare in Iran ma spesso ci si dimentica che è un Paese pericoloso. Bisognerebbe evitare che gli italiani, anche i giornalisti, vadano in questi Paesi senza le dovute garanzie perché il rischio è che diventino ostaggi di regimi criminali».
Torniamo alla sinistra. Perché non riesce a condannare l’Iran e tutti i regimi islamici che si macchiano di gravi crimini?
«Da un lato, c’è un attaccamento al totalitarismo in tutte le sue forme. È da decenni che la sinistra simpatizza con i palestinesi nonostante siano stati guidati prima da personaggi filonazisti negli anni ’40, poi filocomunisti negli anni ’60 e ’70, passando per i supporter di Saddam Hussein negli anni ’80 e per i sostenitori di Khamenei e del regime iraniano più di recente. Malgrado tutto questo, o forse proprio per questo, continuano a simpatizzare con i palestinesi rifiutandosi di vedere chi sono i loro leader. E dall’altro lato? Negli ultimi vent’anni c’è stata una deriva terzomondista e islamofila da parte peraltro di gente che prima, in Italia, era anticlericale e ora si è scoperta a favore di dittature teocratiche. Questo è indice di una grave confusione mentale e politica. È davvero inspiegabile che le stesse persone che scendono in piazza in Italia e in Occidente per i diritti Lgbt al contempo manifestino a favore di coloro che perseguitano quelle minoranze».
Come se lo spiega?
«Con l’ideologia. Solo l’ideologia infatti può permettere di andare oltre la vita umana, oltre il massacro quotidiano di donne e uomini. Alla sinistra non interessa il dato reale. Si tratta di scelte completamente ideologiche tra l’altro contro Israele che è il Paese che tutela di più i diritti delle donne e delle persone Lgbt in tutto il Medio Oriente».
C’è anche una certa dose di ipocrisia?
«Tutta la loro militanza contro il patriarcato e a favore dei diritti delle minoranze suona fasulla di fronte ai dati reali. Basta vedere il diverso atteggiamento che hanno a seconda di chi ci aggredisce. Se le violenze sono commesse da neonazisti c’è grande solidarietà, mentre quando sono commesse da estremisti islamici, salvo rare eccezioni, c’è il deserto».
Sta dicendo che anche le aggressioni nei vostri confronti vengono strumentalizzate?
«Noi lo notiamo sempre di più. Per decenni esponenti di sinistra venivano con noi a celebrare con grande commozione il Giorno della Memoria contro i nazisti. È invece davvero folle, pazzesco che quando a picchiarci o ad ammazzarci sono persone di fede musulmana questa solidarietà scompare. Addirittura dopo il massacro del 7 ottobre le donne israeliane che hanno provato a partecipare a manifestazioni femministe sono state cacciate da associazioni come “Non una di meno”. È la dimostrazione che questo finto antirazzismo che la sinistra professa non è altro che uno strumento politico per dare addosso alla destra. Questo vale per l’Italia ma anche per gli Stati Uniti».