Salvatore Fiorillo, "Ho avuto 37 fidanzate e a 100 anni penso ancora al sesso"
Salvatore Fiorillo ha 100 anni divisi in due. Nella prima metà della vita - grande rigore, severità, rettitudine - è stato maresciallo maggiore dei carabinieri, ma poi, da quando è andato in pensione a 50 anni- fantasia, cultura, sensibilità -, si è dedicato all’arte scrivendo poesie e racconti. Quello che ne è esce, ora, è un brillantissimo centenario capace di affascinarti con rocamboleschi racconti di guerra o di strada, ma anche ammaliarti con riflessioni profonde e scritti raffinati. Salvatore è moderno e tecnologico, passa le giornate al computer («Ne ho anche uno portatile»), usa internet, chatta e gestisce i suoi profili social. Ma senza mai dimenticare gli aspetti più pratici e belli della vita: un buon bicchiere di vino rosso e la passione per le donne.
Signor Salvatore Fiorillo, che sorpresa trovare un centenario al computer.
«Sto sistemandogli ultimi appunti, arrivo subito».
Faccia con comodo, non c’è fretta. Cosa scrive?
«Racconti, poesie, ricordi. Per il compleanno mi hanno regalato anche un portatile». Quindi con la tecnologia se la cava bene? «Navigo in internet, ho profili Facebook e Instagram e mando messaggi su WhatsApp».
Complimenti. E oltre a scrivere cosa altro fa durante la giornata?
«Mi piace stare solo e parlare con me stesso: anche perché sono l’unico che non mi contraddice».
Buona questa. La tv la guarda la tv?
«Principalmente programmi politici. Da che parte sto? Ho sempre amato Almirante».
Capitolo alimentazione.
«Mangio di tutto e prediligo cibi cucinati alla meridionale, molto conditi. Anche se in realtà il piatto che preferisco è un semplice riso e piselli».
Il tutto accompagnato da un buon vino?
«Un bicchiere duranti i pasti non manca mai».
Quale è il suo segreto per essere arrivato a 100 anni?
«Essermi sempre comportato bene in pubblico e aver aiutato chi aveva bisogno vivendo onestamente. Ma anche...».
C’è dell’altro? Ha lo sguardo furbo.
«Pensare molto alle donne».
Approfondiamo subito.
«Mi sono sempre piaciute anche se ero timido: quando una mi guardava diventavo rosso e balbettavo. Non ho mi fatto la corte, sono sempre state loro a sedurmi e abbordarmi».
Ha avuto molte frequentazioni?
«Trentasette fidanzate ufficiali, malgrado sia sempre stato contrario alle cose serie. Ovviamente tutte prima di conoscere mia moglie Cristina».
E ora ha una fidanzata?
«No».
Sicuro?
«... sì».
Non per essere invadenti, ma quella signora accanto a lei nelle foto dei festeggiamenti per i 100 anni chi è?
«Paola, una pittrice. Ha 85 anni e una simpatia per me, ci messaggiamo e ogni tanto civediamo, ma siamo solo amici».
Salvatore, ne prendiamo atto anche se non sembra molto convincente. A proposito del suo recente compleanno, facciamo un salto all’indietro: da 100 anni a 0.
«Nasco a Napoli il 3 novembre 1924. Papà Eduardo è Maresciallo Maggiore dei Carabinieri, mamma Adalgisa casalinga».
Quanti figli siete?
«Cinque e io sono il secondo. Lina, mia sorella, però muore di tifo a 17 anni, nel 1947, ed è una tragedia immensa: dopo un anno e mezzo papà non regge al dolore e se ne va anche lui».
Scuole?
«Elementari, poi nel tempo studio privatamente un anno di latino e frequento tre annidi avviamento professionale di tipo agrario».
Che tipo di ragazzo è?
«Sportivo e al mare, un giorno, salvo la vita un signore che sta annegando e ha perso i senso: mi tuffo e lo porto a riva. Per questo gesto eroico mi premiano con una medaglia al valor civile e relativo attestato firmato da Mussolini».
Siamo negli anni del fascismo.
«Faccio tutta la trafila: figlio della Lupa, balilla, avanguardista e giovane fascista. Cresco nel credo del “Libro e moschetto, fascista perfetto”. E sogno di andare in guerra in Abissinia».
Ma davvero?
«Eh sì, a quell’eta si ha il cervello fuori posto...».
Si arruola volontario?
«Non posso perché ho solo 17 anni. Sa che faccio allora?».
Dica.
«Falsifico l’atto di assenso paterno e sostituisco i miei documenti con quelli di mio fratello più grande».
Funziona?
«Sì, vado a Roma, artiglieria antiaerea. Alla prima licenza premio, però, torno a casa e papà si arrabbia: “Hai voluto fare l’eroe, adesso pensa al tuo avvenire. Piuttosto arruolati nell’Arma dei Carabinieri”».
Segue il consiglio?
«Sì e il 12 marzo 1943 entro nella Legione Allievi Carabinieri».
Pochi mesi dopo cade il fascismo.
«Sono a Mirandola, Modena, e torno con un collega a Roma. Appena scendiamo dal treno in divisa i tedeschi ci arrestano, ci tolgono le armi e ci portano in caserma: siamo loro prigionieri. Tre giorni dopo ci mettono su un carro bestiame e ci spediscono in Austria per lavorare in un piccolo aeroporto».
Quanto tempo resta lì?
«Più o meno sei mesi, poi riesco a scappare con un collega».
Come?
«Ci mandano a Milano a caricare del materiale, l’autista del camion è un soldato tedesco fidanzato con un’italiana e conosce la nostra lingua. Superato il Brennero ci dice. “Io fermare dietro curva e voi scappare, che camion finire in burrone per finto incidente”».
Lo fa davvero?
«Sì, siamo liberi. E fuggiamo verso casa con mezzi di fortuna».
Un momento che non dimenticherà mai del ritorno?
«Dopo tre giorni paghiamo un contadino per ospitarci nella sua casa. La notte c’è un caos infernale al piano di sopra, urla, rumori, voci. Non riusciamo a dormire, pensiamo sia un festa e saliamo per protestare. Bussiamo, apre un signore che in braccio ha un bambino senza una gamba, ferito da un bombardamento, che piange dal dolore. Capito? Mai fermarsi alle apparenze. Grande insegnamento».
Alla fine arrivate a Roma?
«Ci fermiamo a Monterotondo perché entrare nella Capitale è troppo pericoloso. Lì c’è un mio vecchio compagno della Milizia nazionale che ci nasconde».
Dove?
«Ci conduce in un vigneto appena fuori dal paese, solleva delle sterpi che coprono una botola e ci indica una scala a pioli: “Qui staremo al sicuro fino all’arrivo degli americani”».
Come è il rifugio?
«Una buca le cui pareti sono formate da assi di legno incastrate. Ci sono due cesti di viveri, una tanica d’acqua e una damigiana di vino. Restiamo lì quattro giorni, finché una notte sentiamo spari ovunque: sono i tedeschi in ritirata. Il giorno dopo usciamo, ci facciamo consegnare delle armi e pattugliamo il paese fino all’arrivo dei carri armati americani per la liberazione».
Dopo la guerra lei riprende il normale servizio da carabiniere.
«Giro parecchio e presto servizio in Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli, Puglia, Trentino, Toscana e Veneto».
Situazioni particolari?
«Una sera sento dei passi dietro di me, c’è un uomo robusto con un largo cappello da contadino, una sciarpa scura che gli copre il mento e un lungo mantello nero. Fa paura. “Sei figlio del maresciallo?”, mi domanda. “Sì”. E mormora: “Ho ucciso un uomo che mi ha rubato la fidanzata, sono venuto a costituirmi”. È la prima volta che vedo la faccia di un assassino. E poi...».
Racconti.
«Nel 1946 il comandante della compagnia di Reggio Emilia mi ordina di portare dal carcere dei Servi alla Corte d’Assise un detenuto speciale».
Chi è?
«Leonarda Cianciulli».
Ah, “la saponificatrice di Correggio” che ha ucciso tre donne e le ha sciolte nella soda caustica per poi, con il sangue, preparare pasticcini e offrirli alle amiche.
«Durante il tragitto nessuna parola, tutti zitti. La guardo attentamente e mi sembra impossibile che abbia fatto tutto ciò. Di fronte ai giudici, però, lei racconta tutti i dettagli e al ritorno in carcere è serena e tranquilla, come se si fosse liberata di un peso».
Salvatore, riprendiamo il discorso fidanzate. Ma questa volta con una donna speciale: sua moglie Cristina.
«A 30 anni, mentre presto servizio a Tarvisio, decido di voler prendere moglie. Scrivo a qualche ex, ma ormai sono tutte maritate. Poi mi torna in mente Cristina, figlia del comandante dei vigili urbani di Acquaviva delle Fonti (Bari), la ragazza che aveva assistito mio padre durante la malattia. Lui, prima di morire, aveva confidato a mamma: “È bella e brava, mi sarebbe piaciuta averla come nuora”».
Una storia da film.
«Allora le mando una lettera e lei risponde: “Se hai intenzioni serie scrivi ai miei genitori”. Loro mi concedono l’autorizzazione a contrarre matrimonio e il 30 aprile 1956 ci sposiamo. Lei è bellissima, educata, esemplare. Nel 1957 nasce Lina, nel 1959 Eduardo e nel 1962 Beatrice. Mia moglie è morta nel 2019, a 94 anni».
Torniamo alla sua carriera: quando va in pensione?
«A 50 anni, da Maresciallo Maggiore Aiutante di Battaglia».
E si trasferisce definitivamente a Verona, città nella quale inizia la sua seconda vita. Quella artistica.
«Inizio a scrivere poesie, racconti, ricordi che diventano una ventina di libri. L’ultimo è “Il brogliaccio” del 2019, con prefazione di Massimo Fini».
Ultime domande veloci. 1) Paura della morte?
«No, l’ho sempre sfidata nell’Arma e poi nel 2018, quando ho avuto un ictus dal quale sono uscito miracolosamente illeso. Sa quale è il mio motto? Spero, un giorno, di svegliarmi morto».
Bellissimo. 2) Cosa pensa dei giovani?
«Qualcuno è da salvare, degli altri invece è meglio non parlarne».
3) Che musica ascolta?
«Quella napoletana. Il mio preferito è Pino Daniele».
4) Un evento che l’ha colpita nei suoi 100 anni?
«Lo sbarco sulla Luna».
Ultimissima. Salvatore, rapporto con il sesso? Perché ride?
«Ottimo, di tanto in tanto mi viene ancora voglia e fino a poche settimane fa ero ancora attivo. Spero che nel frattempo non sia cambiato niente...».