Roberto Saviano, scrive di tutto ma dimentica la campagna anti-camorra del governo
Negli ultimi 13 mesi, la star dell’antimafia di carta, Roberto Saviano, ha scritto di: baby boss; droga negli stadi di calcio; musica; Chavez e Maduro; Casalesi; don Diana; dialetto napoletano; Michela Murgia; Donald Trump; Rosetta Cutolo; sisma del 1980; Libia; clan Di Lauro; Gioia Tauro; stese; Silvio Berlusconi, Matteo Salvini; coppie omogenitoriali; el Chapo; Alfredo Cospito; 'ndrangheta e Salman Rushdie. In oltre un anno, insomma, l’autore di Gomorra non ha trovato il tempo e la voglia di rivolgere la penna alla guerra ingaggiata e vinta dallo Stato alla camorra del Parco Verde. E, quando l’ha fatto, si è limitato a denigrare la campagna per il ripristino della legalità a Caivano, voluta e sostenuta dal Governo Meloni, per sostenere la tesi che si trattasse solo di marketing, di mossa pubblicitaria a fini politici. Finendo tuttavia per essere smentito e tacciato di essere uno spergiuro da don Maurizio Patriciello, il prete coraggio che combatte in prima linea da anni. «Ho chiesto aiuto a tutti. I colori politici non mi hanno mai impressionato. Sono un prete. Un uomo libero», ha detto il sacerdote rivolgendosi allo scrittore. «I rischi di essere frainteso e deriso ci sono. Pazienza.
Il presidente del Consiglio dei ministri della nostra Repubblica, l’anno scorso, ha accolto il mio invito. È venuta. È ritornata. Quel che è accaduto a Caivano è sotto gli occhi di tutti. Di tutte le persone oneste che vogliono vedere». Bum. E ancora: «Qualcosa si muove. Giorgia Meloni ha risposto al mio appello. Un merito che altri, prima di lei, non hanno voluto o potuto prendersi. La verità è limpida come l’acqua di sorgente. Se vuoi bene al tuo popolo, non remare contro. Si perde solamente tempo». Da qui l’appello finale del prete all’autore: «Lascia che lo facciano i politici di professione. Noi, preti, giornalisti, scrittori, intellettuali, dobbiamo essere capaci di stare al di sopra delle parti. Essere coscienza critica. Sempre con le mani pulite. Viceversa, non saremmo credibili».
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Saviano non solo ha incassato la reprimenda, ma ha perso pure l’occasione di recuperare un po’ di memoria e di onestà intellettuale per riparare. Lo spunto gliel’abbiamo offerto proprio noi di Libero, quando abbiamo pubblicato in esclusiva le immagini dei lussi che si nascondevano nelle viscere del Parco Verde: appartamenti che dovevano essere popolari ma che, invece, erano stati trasformati – con abbondante dose di gusto cafone – in piccole regge con lampadari dorati, divani lussuosi, elettrodomestici di ultima generazione, pavimenti di marmo, arredi e suppellettili degni di miglior fortuna. Alloggi che dovevano finire alle fasce deboli, alle famiglie bisognose e che sono stati abitati, invece, da camorristi e affini e da finti poveri.
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Come quella coppia di influencer ballerini che, anni fa, hanno occupato un’abitazione nel Parco Verde pur potendo contare su due stipendi e su un bel po’ di denari in nero incassati grazie alle sponsorizzazioni di ristoranti, pizzerie, palestre e beauty center. Ora piangono e si disperano prendendosela con il Governo e la Prefettura perché dovranno, per la prima volta nella vita, pagare l’affitto. E Robertino? Muto. Invece di raccontare la rivoluzione della legalità e della legge a Caivano, ha distolto lo sguardo. La lotta ai clan va bene solo se fatta da sinistra, evidentemente.
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