Biasin: io primo sui social tra i giornalisti, vi racconto perché è un pessimo affare
A un certo punto l’Ansa - mica pizza e fichi - batte questa notizia: «Tre giornalisti -influencer regnano sui social italiani». C’è anche il mio nome. Sono le 17.33. Alle 17.34 un acuto profondo e molto sardo esce dall’ufficio del (mio) megadirettore: «Biasiiiiiinnnnvieni quaaaaa». Siccome non so nulla di ’sta Ansa temo si tratti di un micidiale strascico del cazziatone incassato al mattino per essere arrivato tardi (tardissimo) alla riunione di redazione. E invece no, è molto peggio. «Dimmi direttore, cosa ho fatto questa volta». «Ho letto l’Ansa». «Quale Ansa». «Questa». Leggo. Lo guardo. Sogghigna. «Mo’ soccazzi tuoi, scrivi». Tento una squallida difesa: «Ma sono cose di calcio, tutte cazzate...». La difesa non tiene: «Scrivi, scrivi! Scrivi cosa vuol dire questa cosa, del resto se sei primo significa che ci tieni. O no? Scrivi! E arriva in orario». Ed eccoci qua, scrivente e fottuto.
La classifica dei giornlisti-influencer è degradante per definizione: se sei un giornalista, non dovrebbe interessarti altro che fare informazione, altro che godere dei “mi piace” e puttanate assortite. Ma la verità è che i social ti portano in una dimensione orrenda che i più svegli sanno controllare, mentre i più fessi (eccomi qua!) subiscono drammaticamente al punto di diventare “schiavi del contenuto”. Diventa una specie di dipendenza, tipo alcol ma senza vino in cartone. E allora ecco il primo consiglio che posso dare a te che vivi la vita-vera e non conosci i social: restane fuori, credimi, ne trarrai grande giovamento e forse non perderai i capelli.
Ma lo spazio è tiranno e, quindi, ecco a voi tutti i motivi per cui non bisogna vantarsi affatto di essere primi in questa speciale classifica. 1) Ti svegli al mattino, dai un bacio a tua moglie e pensi: «Chissà che cazzo è successo in Papuasia mentre dormivo. Devo sapere». A quel punto tua moglie ti guarda con compassione. E tu: «Perché mi guardi con compassione?». E lei: «Sei sveglio da 10 secondi netti e hai il telefono in mano». A quel punto provi a inventare qualche puttanata tipo «pensavo fosse il gatto, giuro», ma non regge. 2) Se sei molto in alto in questa speciale classifica, significa che automaticamente sei molto in alto in una classifica parallela: quella degli insulti ricevuti. Non è una cosa detta tanto per dire, è la verità. Cioè, puoi scrivere anche la cosa più neutra e insignificante del mondo, ma è certo che verrai odiato molto, a tratti moltissimo. «Che bel sole oggi». «Cazzo scrivi scemo». «C’è la guerra a Timor Est e tu parli di sole, pelato dimmerda». «Eccolo qui che si accorge del sole alle 9 del mattino, ué Bellavita io sono sveglio dalle 5.30».
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LA SPUTACCHIERA
3) Il sottoscritto, tra l’altro, si occupa di sport. Soprattutto di calcio. E in particolare di Inter. Ecco, se in Italia ti occupi soprattutto di calcio e soprattutto di una squadra tra le più seguite, ecco che allora ti trasformi automaticamente in un catalizzatore di nefandezze e cattiverie, una sorta di virtuale sputacchiera dove tu (nel senso di io) sei la sputacchiera. «Che bella partita ha giocato Piripocchio!». E sotto, in serie: «Taci, servo!». «Prendi la percentuale da Piripocchio eh? Che schifo». «Giornalaio della malora, tu e Piripocchio». E così via. 4) Motivi onorevolissimi per cui anche il mese prossimo potrei essere abbastanza in alto in classifica. A) Molti mi hanno insultato per la questione ultrà-Inter («Vergognaaaaaaa!». Così, aggratis). B) Il celebre Antonio Cassano nel bel mezzo della sua trasmissione me ne ha dette di tutti i colori per futili diatribe pallonare, la qual cosa ha innescato una serie infinita di vaffanculi tra pro-Cassano e pro-Pelato (praticamente uno scontro tra titani). 5) Ogni volta che esce questa speciale classifica mio padre chiarisce il suo punto di vista. «Visto che tua madre, suo malgrado, viene spesso coinvolta nel giro dei commenti, vuoi dirmi se tutta ’sta tarantella quantomeno ti porta qualche soldo in più?». «No, padre». «Ecco, pensa quanto puoi essere pirla». Ci sarebbero molte altre cose da scrivere per avvalorare la tesi “sarebbe meglio non essere in questa classifica”, ma lo spazio è finito, ché il giornale è una cosa seria e non è come sui social che puoi scrivere tutte le troiate che vuoi. Ps. Sogno un futuro prossimo in cui tutti noi tuittaroli del menga ci raduneremo in cerchio in un’anonima stanza scrostata: «Ciao, mi chiamo Fabrizio Biasin, ho una dipendenza dai social e non twitto da 20 minuti». «Ciao Fabrizio...». È giù un debolissimo applauso.