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Ghali trasforma il concerto in comizio pro-barconi e contro gli israeliani

Andrea Tempestini
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Sventolando il bandierone, non più il sangue scorrerà: Elio e le storie tese lo descriverebbero così, Ghali avvolto sul palco dall'immancabile vessillo palestinese, rappresentazione plastica del concetto di «Signora mia!», qualunquismo acchiappa-consensi, roba buona per un video social, per un ululato in più. Va detto che al signor Amodouni non difetta la coerenza: lo avevamo lasciato a febbraio, «stop al genocidio» scandito sul palco di Sanremo, l'imbarazzo della Rai, lo scontro con l'ambasciatore israeliano e via discorrendo. Lo ritroviamo a "casa sua", al suo concerto sul palco del Forum di Assago, alle porte di Milano, la città dove il rapper di origini tunisine è nato e cresciuto. Lo ritroviamo rigorosamente avvolto nel succitato bandierone. Ripete che quello a Gaza «è un genocidio». Il punto è che oggi, parlare del presunto «genocidio» perpetrato da Israele non fa più notizia né polemica, è solo un titolo orgogliosamente rilanciato da molti, quasi tutti. Ci sarebbe da riflettere.

Parla di «genocidio» perché la scorsa settimana non era sul palco di "Per la pace - Live contro le guerre": c'erano un po’ tutti, dalla Mannoia ad Emma, da Annalisa all'immancabile Piero Pelù. Lui no. «Non sono stato invitato al concerto. Forse perché parlo di Palestina. E in quella Palestina non è proprio una guerra», va da sé, «è genocidio».

 

Il Forum, gremito, pende dalle sue labbra. Non solo il Forum. Per il Corsera è «elegante e misurato, quasi minimal (nell'atteggiamento, la pelliccia non conta)». La Stampa ci ricorda come Ghali sia stato inserito dal Time «tra le 100 giovani personalità che stanno plasmando il futuro del mondo». E il futuro lo plasma con uno show dal messaggio chiarissimo: dune di sabbia, un gigante cerchio luminoso che funge da "stargate" verso mondi lontani, sui maxi-schermi un video mostra i naufragi dei barconi mentre le casse irradiano Banya, canzone che ha dato il nome alla nave donata da Amodouni all'ong Mediterranea. No-border, aboliamo i confini. Ma se il messaggio assume i connotati di un magniloquente videoclip può davvero essere preso sul serio? Forse è un po’ poco.

Tant’è, Ghali di dubbi non ne ha. Parte Rich Ciolino e accende una gigantesca radio da cui fluiscono le “note” dei talk-show, voci televisive contro l'immigrazione irregolare. Non può mancare Salvini, «prendi la barchetta e torni indietro», seguono bordate di fischi. La Lega nel day-after protesta, parla il vice Andrea Crippa, «proprio non ne sentivamo il bisogno dell'appello all'immigrazione clandestina». Il leghista eccepisce anche sul genocidio: «Abbia rispetto delle vittime israeliane del terrorismo islamico. Manda un messaggio di illegalità, sbagliato e pericoloso».

Lasciate perdere: Ghali è in missione. «Questo è un tour contro la paura e cade in un momento difficile della mia vita, sto sentendo una pressione pazzesca perché mentre celebro la mia festa so che mia madre è stata molto male (è alle prese con una difficile malattia, ndr), le guerre provocano migliaia di morti e in Palestina non c'è una guerra ma un genocidio», ripeteva. «C'è però una frase che quando sono in difficoltà mi ripeto spesso: in tempi bui bisogna splendere. Quelli come me se si fermano e non brillano facendo il loro mestiere sbagliano. So che calpesto il mio senso di colpa nel tentare di brillare ma so che lo devo fare perché mia mamma vuole che lo faccia, i miei amici lo vogliono». Il fatto che un artista si riferisca a se stesso parlando del suo bagliore - luce che vorrebbe essere più politica che artistica (lo spiega lui: prestarsi all'arte con un «genocidio» in atto è un po’ «calpestare il senso di colpa») - la dice lunga sulla percezione del proprio io. In missione, appunto. «Prima di ogni decisione politica salvare le persone è la cosa più importante. Ormai sono io il messaggio, uno come me e con la mia storia non ha precedenti in questo Paese. E nel concerto può essere che alcuni momenti facciano risaltare il messaggio». Tra McLuhan e il messianico, insomma. Noi, più prosaicamente, torniamo a Elio e al grottesco bandierone che non più il sangue scorrerà. Pare più adatto.

 

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