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Carlo Verdone, lezione alla Schlein: "Parli più chiaro. E Berlinguer è il passato"

Daniele Priori
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Sul red carpet tutti aspettano Johnny Depp ma a concludere, da vero re, la Festa del Cinema di Roma arriva anche Carlo Verdone con l’anteprima della terza stagione della sua serie Vita da Carlo che prelude l’annuncio dell’arrivo di una quarta e ultima stagione già in lavorazione. «Poi torno a fare film» annuncia il regista. La serie, diretta dallo stesso Verdone e da Valerio Vestoso, sarà disponibile dal 16 novembre su Paramount+ (due puntate a settimana). Stavolta Carlo si ritrova catapultato nel ruolo di direttore artistico del Festival di Sanremo.

Verdone, la serie inizia con una citazione del poeta Remo Remotti di Mamma Roma addio. Pensa davvero di dire addio a Roma? 
«Sono molte le cose che mi farebbero scappare da Roma: su tutte il gran casino del traffico e la scarsa manutenzione... Poi, però, da un lato dico cosi ma dall’altro penso che Roma è la mia città, sono nato qui e in realtà la mia unica speranza è vederla trasformata in meglio».
Non la salverà nemmeno il Giubileo che sta per iniziare? 
«Vedremo cosa uscirà da tutti questi lavori...Anche se li stanno facendo tutti assieme! Speriamo di ottenere qualcosa di buono».
Però lei va oltre e mette all’indice «la Roma delle palestre piene e delle chiese vuote». 
«Quando parlo di palestre piene e chiese vuote individuo proprio quello che più mi dà fastidio della società attuale divenuta vacua, priva di spiritualità, materialista, che pensa all’estetica, a come sarà abbronzata in estate, al fisico e non ha più niente di spirituale, di profondo».

 

 

 


È davvero un sogno nel cassetto anche per lei il palco dell’Ariston? 
«In realtà è l’ultima cosa al mondo che vorrei fare. Rifiuterei di farla anche se stessi morendo perché non sarei me stesso. Non ho i trucchi del mestiere che hanno professionisti come Carlo Conti, Bonolis o Amadeus e risulterei finto».
Ma in un suo Sanremo chi vorrebbe? 
«Metto dentro anche i morti però eh! (Ride). Prenderei tutti i migliori italiani, per primo Franco Battiato, poi Lucio Battisti, un giovane Celentano, Mina, Mia Martini, Iva Zanicchi». 
E dei cantanti giovani non le viene in mente nessuno? 
«Faccio una fatica... Non mi ricordo le canzoni della maggior parte di questi cantanti di oggi. O perché le ascolto con poca attenzione, oppure perché forse mi rimbalzano addosso. Qualcosa di interessante c’è, ma poco perché prevale una sorta di omologazione. E poi basta con questo autotune. È veramente insopportabile e senz’anima».
Non salva neppure Sangiovanni che ha recitato con lei? 
«Purtroppo ho perso un po’ i contatti. L’ho sentito l’ultima volta prima dei Nastri d’Argento a fine maggio dove erano rimasti colpiti dalla sua interpretazione. Poi più nulla. È un ragazzo molto intelligente, più maturo della sua età. Mi sono reso conto che nella seconda stagione aveva raccontato un po’ la sua vita».

 

 


 

 

La politica parla ai giovani ancora meno della musica e la Schlein per provare a fare presa è salita sul palco di J-Ax. Cosa ne pensa? 
«Non siamo in America dove Eminem che dà la mano alla Harris può spostare qualcosa. Qua da noi la musica non ha mai cambiato nulla. Quanto alla Schlein che vada pure sul palco di J-Ax ma mi piacerebbe sentirla parlare in maniera un pochino più diretta dei problemi delle persone uscendo dai soliti cliché...».
Come dire: dal Pd alla Festa del Cinema non basta più nemmeno continuare a citare Berlinguer, giusto? 
«Berlinguer è un personaggio del passato, oggi non interessa più perché è passato troppo tempo, fa parte di un’altra epoca, è cambiata la società. La gente oggi vota solo chi fa pagare di meno... Purtroppo è un’epoca in cui non ci sono eccellenze politiche. Non solo in Italia».

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