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Papa Francesco cancella la politica: "Torniamo al cuore di Cristo"

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Antonio Socci
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Dovunque macerie, tutto grida salvezza. L’umanità ha un gran bisogno della compassione divina. Nasce così la nuova Enciclica di Papa Francesco, “Dilexit nos”, che è stata pubblicata ieri ed è dedicata al Sacro Cuore di Gesù. È bellissima perfino sul piano letterario: commuove e fa riflettere. Il Pontefice spiega che per “Cuore” si intende tutta la persona di Cristo. Ne coglie i battiti, i sussulti e le emozioni negli episodi evangelici: quando Gesù parla con la Samaritana o quando «vedendo le folle ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite» o quando perdona l’adultera o pranza con i peccatori e non si scandalizza di loro, quando si commuove per la madre che piange suo figlio a Naim e glielo risuscita o quando «al cieco sulla strada dice con affetto: “Che cosa vuoi che io faccia per te?” (Mc 10,51). Cristo mostra che Dio è vicinanza, compassione e tenerezza». È questo suo cuore che sulla croce verrà spezzato da una lancia. «Nel Cuore trafitto di Cristo - scrive il Papa - si concentrano, scritte nella carne, tutte le espressioni d’amore delle Scritture. Non si tratta di un amore semplicemente dichiarato, ma il suo costato aperto è sorgente di vita». Ed ecco «la bellezza della grazia e dei sacramenti che scaturiscono da quella fonte di vita che è il costato ferito del Signore».

IMMAGINE MEDIATICA
Un tema mistico e “tradizionale” come il Sacro Cuore sorprenderà chi (progressisti o tradizionalisti) ha interpretato l’attuale Pontefice in chiave politico-ideologica. In effetti Francesco è diverso da come lo abbiamo dipinto per anni sui media. Fra l’altro ha una spiritualità tradizionale. In un passo dell’Enciclica, con buona pace di certi modernisti postconciliari, citando un autore, critica la teologia troppo razionalista che disprezza la «fisicità» della fede cristiana e difende invece la spiritualità e la «religiosità popolare» che «hanno mantenuto vivo il rapporto con gli aspetti somatici, psicologici e storici di Gesù. La Via Crucis, la devozione alle sue piaghe, la spiritualità del prezioso sangue, la devozione al cuore di Gesù, le pratiche eucaristiche (...). Tutto ciò ha colmato le lacune della teologia alimentando l’immaginazione e il cuore, l’amore e la tenerezza per Cristo, la speranza e la memoria, il desiderio e la nostalgia». Il Papa rilancia pratiche tradizionali come la comunione dei «primi venerdì», l’adorazione eucaristica, il tema della «riparazione» delle offese al Cuore di Gesù con uno sguardo attualissimo.

Giovanni Paolo II – scrive Francesco - «ha presentato lo sviluppo di questo culto nei secoli passati come una risposta alla crescita di forme di spiritualità rigoriste e disincarnate che dimenticavano la misericordia del Signore, ma allo stesso tempo come un appello attuale davanti a un mondo che cerca di costruirsi senza Dio: “La devozione al Sacro Cuore, così come si è sviluppata nell’Europa di due secoli fa, sotto l’impulso delle esperienze mistiche di Santa Margherita Maria Alacoque, è stata la risposta al rigorismo giansenista, che aveva finito per misconoscere l’infinita misericordia di Dio. (...) L’uomo del Duemila ha bisogno del Cuore di Cristo per conoscere Dio e per conoscere se stesso; ne ha bisogno per costruire la civiltà dell’amore”».

 

 

ORIGINE E SCOPO
Questa Enciclica (che attinge alla letteratura mistica e alla grande teologia e che dovrebbe essere meditata a lungo nelle parrocchie, nei movimenti, nelle istituzioni educative cattoliche) chiarisce tutto il pontificato di Francesco, ne rivela l’autentica origine e anche lo scopo, che si può sintetizzare nella parola “misericordia”. Risuonò nel suo primo Angelus, dove Francesco sottolineò accoratamente che Dio perdona sempre, perdona tutto e perdona tutti, non ha scandalo della miseria dell’uomo, ma arde di amore per lui quanto più è lontano e perduto e lo cerca come un padre cerca il figlio smarrito. Era stato San Giovanni Paolo II, dice l’Enciclica, a collegare «intimamente la sua riflessione sulla misericordia con la devozione al Cuore di Cristo». E tale devozione al Cuore, all’umanità di Cristo, è al centro della spiritualità dei gesuiti fin dal loro inizio. «Questo era difficile da capire per molti giansenisti, che guardavano dall’alto in basso tutto ciò che era umano, affettivo, corporeo» scrive il Papa. «Si potrebbe sostenere che oggi, più che al giansenismo, ci troviamo di fronte a una forte avanzata della secolarizzazione, che aspira ad un mondo libero da Dio. A ciò si aggiunge che si stanno moltiplicando nella società varie forme di religiosità senza riferimento a un rapporto personale con un Dio d’amore, che sono nuove manifestazioni di una “spiritualità senza carne”».

Anche nella Chiesa, aggiunge il Pontefice, ritorna «il dannoso dualismo giansenista» ed «è una manifestazione di quello gnosticismo che già danneggiava la spiritualità nei primi secoli della fede cristiana, e che ignorava la verità della “salvezza della carne”. Per questo motivo rivolgo il mio sguardo al Cuore di Cristo e invito a rinnovare la sua devozione».
Tale devozione, scrive il Papa (pensando a certi “riformatori” di oggi), «ci libera allo stesso tempo da un altro dualismo: quello di comunità e pastori concentrati solo su attività esterne, riforme strutturali prive di Vangelo, organizzazioni ossessive, progetti mondani, riflessioni secolarizzate, su varie proposte presentate come requisiti che a volte si pretende di imporre a tutti. Ne risulta spesso un cristianesimo che ha dimenticato la tenerezza della fede, la gioia della dedizione al servizio, il fervore della missione da persona a persona, l’esser conquistati dalla bellezza di Cristo, l’emozionante gratitudine per l’amicizia che Egli offre e per il senso ultimo che dà alla vita personale».

CONSEGUENZE SOCIALI
L’Enciclica è tutt’altro che intimistica, ha profonde conseguenze sociali: «San Giovanni Paolo II – scrive il Papa - ha spiegato che, offrendoci insieme al Cuore di Cristo, “sulle rovine accumulate dall’odio e dalla violenza, potrà essere costruita la civiltà dell’amore tanto desiderato, il regno del cuore di Cristo”; questo implica certamente che siamo in grado di “unire all’amore filiale verso Dio l’amore del prossimo”; ebbene, “questa è la vera riparazione chiesta dal Cuore del Salvatore”. Insieme a Cristo, sulle rovine che noi lasciamo in questo mondo con il nostro peccato, siamo chiamati a costruire una nuova civiltà dell’amore (...). Diceva ancora San Giovanni Paolo II che per costruire la civiltà dell’amore l’umanità di oggi ha bisogno del Cuore di Cristo. La riparazione cristiana (...) esige una spiritualità, un’anima, un senso che le conferiscano forza, slancio e creatività instancabile. Ha bisogno della vita, del fuoco e della luce che vengono dal Cuore di Cristo». Così Francesco chiama tutta la Chiesa, tutti i cristiani alla missionarietà per «far innamorare il mondo» di Gesù. Una missionarietà intrepida. Per «costruire sulle rovine».

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