Greta Thunberg due anni fa annunciava il ritiro, ma di lei non ci liberiamo
Sono passati ormai due anni da che Greta Thunberg ha annunciato il suo ritiro dalle sceneggiate. Eppure sono tre giorni che bascula per l’Italia. L’attivista non più bambina passa con nonchalance da un corteo a favore della Palestina nel quale accusa Israele di genocidio e l’Occidente di complicità a un’assemblea sindacale in fabbrica in quel di Campi Bisenzio, dove gioca a fare da testimonial dell’equilibro tra giustizia climatica e sociale. Ingenuo chi ci aveva creduto, nel novembre del ’22, quando la svedese disertò la conferenza sul clima di Sharm el Sheikh dichiarando che era venuto «il momento di consegnare il megafono a coloro che hanno davvero qualcosa da raccontare, perché il mondo ha bisogno di nuove prospettive». Era una Greta disillusa e pessimista, che se la prendeva con i potenti, definendoli «di una ignoranza scioccante». Mica come lei, che non era ancora diplomata ma già era laureata in teologia, ad Helsinki, grazie a un rettore modaiolo che sentenziò che la sua facoltà «studia le grandi speranze e paure, le questioni centrali dell’umanità, come il cambiamento climatico, la perdita della nautra, le guerre».(...)