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Giorgia Meloni ritira la querela: finito il "martirio" di Luciano Canfora

Francesco Specchia
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C’è un passo - emblematico e attualissimo - nell’Elogio del diritto di Werner Jaeger, grande filologo e grecista del secolo scorso (edito in Italia La Nave di Teseo). È un passo in cui, citando l’età eroica ateniese si evoca l’“isonomia”, come supremo ideale: ossia l’ordine sociale basato sull’uguaglianza di fronte alla legge. Anche nell’esegesi del diritto romano si tratta d’un principio che è pietra angolare delle democrazie.

Luciano Canfora, 82 anni, comunista antico, collega di Jaeger, intellettuale raffinato e maggior grecista italiano vivente, tutto questo lo sa bene. E Jaeger probabilmente gli appare in tutto il suo splendore, mentre arriva la notizia del giorno: la premier ha rimesso nei suoi confronti la querela per diffamazione aggravata, datata aprile 2022, all’opposizione del governo Draghi.

Ecco. Credo che il punto stia qui: nella forza degli antichi brocardi. L’insulto non è libertà d’opinione, nessuno è sopra la legge; un assunto limpido, platonico e ciceroniano. Credo sia per questo che, in cuor suo, il prof non ha abbia mai cavalcato con convinzione la tesi della sinistra secondo cui «non si può querelare un intellettuale, la sua offesa è legittima critica», quando, appunto, Giorgia Meloni lo querelava dopo esser stata accusata dallo stesso Canfora, a lezione in un liceo di Bari, di «essere neonazista nell’anima, si è subito schierata con i neonazisti ucraini» o «una mentecatta pericolosissima». Il tutto mentre si consumavano gli slanci sartriani dell’opposizione, la quale non s’era lasciata scappare l’occasione di issare Canfora –suo malgrado- a martire, a vessillo della resistenza al Palazzo Chigi nazifascio. Meloni, a quel tempo, ritenne le frasi di Canfora diffamatorie («Parole inaccettabili, pronunciate da una persona che si dovrebbe occupare di cultura e formazione»).

E fece richiesta di 20mila euro di risarcimento e condanna in sede penale. Lo scorso 16 aprile, il giudice monocratico del tribunale di Bari Antonietta Guerra, su richiesta della Procura, al termine dell’udienza predibattimentale aveva rinviato a giudizio il profe davanti al giudice del dibattimento per l’udienza del prossimo 7 ottobre. Udienza che, a questo punto non dovrebbe più esserci. L’ordigno politico dovrebbe essere disinnescato, gli argomenti dell’opposizione spuntati. Chigi ha dunque accolto la richiesta arrivata da più parti (Libèration produsse un appello firmato da accademici, si mobilitò l’Anpi, nei talk tracimò una pericolosa idea di sovversione sociale); e, sfarinato il caso politico, il buonsenso dovrebbe tornare nel suo alveo.

Dovrebbe. Condizionale. Perché, certo gli avvocati di Meloni hanno trasmesso al Tribunale la remissione di querela e hanno rinformato il legale dell’accademico, Michele Laforgia. Ma la decisione finale spetta a Canfora. Il quale deve accettare la remissione e porre fine alle ostilità; o non farlo e continuarle infilandosi in una giostra di giudizi e pregiudizi. Non che il professor Canfora non ami affrontare a mani nude le polemiche. In un’intervista alla Stampa, aveva spiegato di non pentirsi e di aver usato opportunamente il parametro del «neonazismo dell’anima», citando nell’ordine: Tocqueville (che però parlava di animo e non di nazismo, per questione d’anagrafe); e Fratelli d’Italia come «discendente dal MSI, un partito che si riferiva alla storia della Repubblica sociale, cioè a uno stato satellite del Terzo Reich» (anche se, onestamente, fatico a pensare a Guido Crosetto, Carlo Nordio, Eugenia Roccella, in camicia bruna e Mein Kampf sottobraccio); e l’azione del governo Meloni «come di tutti, è predeterminata dalla Nato» (epperò non risulta esattamente uno slancio hitleriano).

Canfora, sostenendo le sue tesi affermava, con onestà di «poterlo rifare«, «anche se tra un po’ dovrò fare penitenza, temo». Invece no. Nessuna penitenza. Meloni ha spiazzato i suoi e l’opposizione pronta ai cortei, e ha fatto la cosa giusta. La Presidente del Consiglio ha tenuto conto dell’epica omerica (e canforiana oserei) che giustappone la vecchiaia alla saggezza e alla lucidità; e ha ben pensato di tributare un poderoso intellettuale – seppur con idee opposte alle sue- il rispetto delle idee medsime.

Canfora come Nestore di fiammante favella, o come Priamo nobile re di Troia. In ogni caso, urge sedare gli animi e cercare anche col professor Canfora un libero scambio di idee. Se i due s’incontrassero avrebbero delle sorprese reciproche. L’unico deluso, qui, è rimasto Roberto Saviano, Il quale è riuscito, ancora una volta, ad autocitarsi e dilatare il proprio ego a una querelle per lui estranea. «Meloni cerca di ridurre il peso delle sue intimidazioni ritirando la querela contro Canfora. Io sono fiero di essere stato portato a processo da questo governo banditesco e di aver, con il corpo, testimoniato il pensiero critico» ha detto l’ineffabile Bob. Ma qua, più che di “isonomia” parliamo di “egolalia”.

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