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Sharon Verzeni, Roberta Bruzzone: "Di Sangare in giro ce ne sono tanti, vanno rinchiusi"

Simona Pletto
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 La criminologa Roberta Bruzzone l’aveva inquadrato: «È un omicidio compiuto da un disorganizzato, che potrebbe non conoscere la sua vittima». In questo mese di indagini, da esperta, sulla stampa come in tv, la Bruzzone lo ha ripetuto più volte, delineando il possibile profilo psicologico del killer: una persona con problematiche importanti, disorganizzata, con una visione distorta della realtà e delle relazioni interpersonali.

Ha avuto intuito... 
«Diciamo che è avvenuto ciò che temevo».
Una modalità dell’omicidio per cui ha pensato che il killer fosse sconosciuto alla povera Sharon? 
«Perché prima di tutto è stato un delitto per mano di un disorganizzato. La prova era quel cellulare lasciato nelle mani della vittima ferita ma ancora viva, dandole così l’occasione di chiedere aiuto. Non lo fai se puoi essere riconosciuto. Mi ha fatto subito pensare che si trattasse di un gesto d’impeto e non di quello di un serial killer. Oppure, seconda ipotesi considerata, poteva essere uno spasimante invaghito e respinto dalla vittima. Ecco perché mi sembrava improbabile il coinvolgimento del fidanzato».
Invece secondo il racconto del reo confesso Moussa Sangare, lui era un perfetto sconosciuto per la vittima e viceversa. Ma perché proprio Sharon? Aveva qualche particolare che ha scatenato la sua rabbia? 
«Perchè Sharon si è trovata nel posto sbagliato al momento sbagliato. Sembra assurdo ma è così. Poteva capitare a qualsiasi altra donna che in quel momento lo ha incrociato per strada. Guardi in casi di gravi patologie di tipo psichiatrico, basta davvero poco a scatenare la rabbia di queste persone. Uno sguardo, un gesto, una parola».
Poteva uccidere, ancor prima di Sharon, quei due minori che hanno testimoniato di averlo incontrato poco prima e di essere stati minacciati da lui con un coltello... 
«Non li ha uccisi perché erano maschi. Ed erano in due. La vittima invece era una donna sola».
Dice di essere uscito di casa con quattro coltelli... 
«È uscito di casa con l’istinto di uccidere, di accoltellare qualcuno. È un soggetto con un grave disturbo della personalità, un borderline. Quindi è partito da casa per esprimere la sua rabbia. Contro chi, non aveva importanza. Una bomba innescata. Sono menti che nascondono ombre di follia, e Dio solo sa quante ce ne sono in giro purtroppo».
Moussa Sangare era a piede libero, in attesa di un imminente avvio di processo per una denuncia del maggio scorso da parte della madre e della sorella...
«Ecco, c’è da chiedersi perché un uomo che ha già minacciato la sorella con un coltello e maltrattato la madre, quindi un uomo violento, è stato lasciato libero anche di uccidere? Andava valutato come un atto violento. E andava seguito. Va anche detto che in questi casi la misura cautelare è prevista. Posso solo immaginare quello che devono aver subìto quelle due donne prima di arrivare a denunciarlo».
Eppure si parla di omicida imprevedibile, della teoria del pazzo.
«Ma per favore, ma quale imprevedibilità? Ripeto, questo soggetto era una bomba innescata e quelle denunce dicono che la cosa non era neppure tanto nascosta».
Lei ha detto che in giro ce ne sono tante di persone così, con problematiche psichiatriche importanti. Che fare?
«Occorre ricoverarle in strutture apposite. Non c’è altra strada. Perché questi soggetti non sono in grado di prendere da sole medicine, perché in molti, troppi casi, la loro salvezza è proprio il ricovero in strutture. Io non dico di riaprire certe strutture psichiatriche, ma una soluzione occorre trovarla. Serve una legge, da studiare insieme agli esperti. Le Rems, gestite dai dipartimenti di salute mentale, lo abbiamo visto, per mille motivi non sono sufficienti».
Cosa fare davanti a manifestazioni violente, dovute a droga oppure no, dei tanti Moussa Sangare che girano in Italia? 
«Intervenire prima per evitare altri morti. Le denunce devono servire, non essere sottovalutate. Perché di questi soggetti ce ne sono tanti. Si ricorda il caso di Torino? Di quello che uccise un passante in strada solo perché aveva uno sguardo felice? Questo omicidio non è molto diverso».
L’omicida reo confesso, durante l’interrogatorio ha pianto e alla fine ha detto di essere dispiaciuto... 
«Non sono stupita. Quando l’impulso patologico si placa, allora può essere che il soggetto possa provare anche sensi di colpa. Quindi non stava mentendo in quel momento».
Ora verrà valutata la sua capacità di intendere e volere attraverso una perizia psichiatrica. Quindi non è da escludere che in futuro possa evitare il carcere. 
«Sarà la prima cosa che chiederà il suo avvocato. Va valutata la gravità della sua patologia, a mio parere di tipo borderline grave. E ripeto: un soggetto così può essere salvato solo rinchiudendolo tutta la vita perché pericoloso».
Perché ha confessato quasi subito? 
«Perché si è liberato. In realtà, ed è la prova di una patologia importante, lui stesso non è stato in grado di dare una spiegazione a ciò che ha fatto. Evidentemente è stato messo in una condizione che gli ha permesso di raccontare tutto, di vuotare il sacco. Queste persone che non sono in grado di contenere questi impulsi distruttivi, che escono di casa con la sola idea di uccidere qualcuno, hanno bisogno di ricoveri specifici. Quindi basta sottovalutare certe azione violente. Lo dico sapendo di scatenare le rabbie di tanti colleghi».
Pare che abbia anche tentato di dar fuoco alla casa dove viveva con la madre e la sorella, e che avesse discusso con il vicinato indispettito dai suoi rumori e per via del suo carattere violento. 
«Dunque, queste persone vanno fermate. Non si può più far finta di nulla dinanzi a segnali di aggressività importanti come quelli manifestati da questo soggetto».

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