Arianna Meloni e Lollobrigida, la dimostrazione che in Italia c'è il matriarcato
Tinello a te, studiolo a me. Sulle prime ce l’immaginiamo così, i coniugi Lollo-Meloni. Arianna e Francesco separati in casa – lo rivelava ieri The Big Sister a Simone Canettieri, sul Foglio – e alle prese, immaginiamo, con la partizione dei locali in una villa romana zona Torrino.
Tinello tuo, studiolo mio. All’incirca come nella Guerra dei Roses, ricorderete. Benché talaltra guerra, la guerra Melonis – a dispetto della massima di Danny DeVito: «Un divorzio civile è una contraddizione in termini» – porti con sé inusitati accenti di Scandinavia. Proprio così. Un mirabile senso civico a Roma Sud con Arianna che insiste: «Con Francesco resta la stima, ma l’amore è un’altra cosa».
Sicché, in quest’ennesimo (quasi) divorzio all’italiana, che ben amalgama toni svedesi («I nostri rapporti personali sono ancora solidi») con inflessioni da soap stile Telepontina («Per lui mi butterei nel Tevere»), ecco la novità. Perché sempre in barba a DeVito, e a quell’enorme iattura di Debora Serracchiani, qui, chi sta “un passo indietro” non sono le donne.
L’ultimo ramo acquisito, ossia Francesco Lollobrigida (cromosoma XY), è stato infatti reciso e la donnizzazione del romanzo nazionalpopolare è compiuta. Tradotto per Serracchiani: indietro stanno i maschi. Raccontati quali goffi e gaffeur, s’intende, quasi fossero l’arrangiamento della monarchia britannica all’Italia (che, da par suo, è avanguardia e non lo sa).
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Repubblica delle donne, l’Italia di oggi, ovvero – per dirla nei termini delle studiose del gender – compiuto matriarcato (manco avessero letto Bachofen). Ma ecco. Se queste son suggestioni – ne siamo consapevoli – è pur vero che con un tocco di fantasia quasi ci paiono verità. L’Italia avanguardia matriarcale? Fa sorridere, sì, ma come si suol dire fa anche riflettere. E allora riflettiamoci, amici. Pensiamoci. Allarghiamo lo sguardo e facciamo uno sforzo comparativo non meno che suggestivo. Ché se qui abbiamo un romanzo famigliare tutto rosa (come i romanzi premonitori di mamma Paratore), altrove, metti in Usa, è tutto un equilibrismo di cromosomi. Con le elezioni presidenziali forse più demenziali di sempre a schierare, appunto, maschi contro femmine. In un derby più scemo del solito. Un gioco di deliranti concessioni che finanche i Roses, in confronto a repubblicani e democratici, sembrano svedesi. E finanche l’Italia (meloniana) è pura avanguardia.
E dunque il racconto che viene fuori dalla pietra di paragone del paese nostro (pietra di paragone che, con tutto il rispetto per la monarchica Albione e la remota Scandinavia, è ancora l’America) è all’incirca questo. Da un lato The Donald maschio, con JD Vance vice maschio e in compenso tutto un clan Maga al femminile: dalle sfiorite Melania e Ivanka (vecchia guardia) alle altre trumpiste fino al midollo (la nuora Lara, la nipotina Kai, l’avvocata Alina Habba, la portavoce Sarah Huckabee Sanders e tutta una schiera di bimbe di Trump a bilanciare il machismo). Dall’altro, Kamala Harris detta Kamala, santa, ragazzaccia, brat, swiftie eccetera che pure – secondo i raccontini del New York Times – sceglie il suo vice Tim Walz in quota maschio-mascolino-non-machista (sul NYT sono sintetici, analogici, talvolta pionieri del demenziale e dunque dicono “jock insurance”: l’assicurazione sportiva che è propria del maschio-mascolino ma aduso al fair play come Walz. Un giorno ci torniamo). E dunque un quadro comparativo, quello Ita-Usa, che mostra, tornando al punto, come qui, invece, la femmina abbia già vinto.
E insomma il matriarcato in Italia è compiuto. E dopo l’affaire Lollo è senza concessioni. Senza infingimenti. Senza divorzi all’americana ma alla romana con vaghi cenni, s’è detto, di Scandinavia. Ed è curioso, ma forse neanche troppo, che questa fantasiosa rivolta dei costumi sia partita dal basso. Dalla verace Garbatella. Ed è curiosissimo che l’unica cosa che il tribuno sinistro oserà dire oggi, domani, dopodomani (stile Serracchiani, c’è da scommetterci) sarà: «E allora la famiglia tradizionale?». (Ritornello speculare – a ciascuno il suo derby e la sua oratoria – al vetusto adagio: «E allora Bibbiano?»). Senza rendersi conto, il suddetto tribuno, che le sisters rischiano di far breccia nel cuore di tutti. A destra, ancora, dove la coppia di fatto sono loro: sorelle e dunque sangue ben oltre la tradizione, con lo ius sanguinis come messaggio subliminale. E a sinistra, sotto sotto, perché hai voglia a dire «leadership femminista e sorellanza» se poi le femministe (di fatto) son due sorelle che si emancipano dal marito. Due gemelle che da angeli del focolare a matriarche è stato un attimo. O forse, più semplicemente, non le avevamo viste arrivare.