Angela Carini, presa a pugni sui social perché promuove il Ponte sullo Stretto
Nelle stesse ore in cui Imane Khelif- la pugile algerina che ha fatto parlare di sé per le note vicende di ormoni e cromosomi - presentava la sua denuncia contro gli “odiatori” della rete, un’altra tempesta d’insulti social si abbatteva - nel silenzio generale dei benpensanti- su Angela Carini, la pugile italiana che dopo essersi presa un paio di potenti cazzottoni dritti sul muso dall’algerina aveva deciso, tra le lacrime, di ritirarsi. In quel frangente la gran parte d’Italia si era schierata con lei. L’idillio, però, è durato giusto il tempo del colloquio con Giorgia Meloni e dell’endorsement di una parte del centrodestra.
LA GIRAVOLTA
Da quel momento tutto è cambiato e la tenerezza suscitata dalla Carini in ginocchio sul ring tra le lacrime, si è immediatamente trasformata in odio politico da scaricare sui social, possibilmente menando ben più forte di quanto aveva fatto Khelif. Un copione che si è ripetuto - se possibile con ancor più violenza - anche l’altro giorno, al lancio della campagna di Webuild, la società incaricata di costruire il Ponte sullo Stretto di Messina. La campagna, che verosimilmente è stata realizzata prima dei Giochi olimpici, s’intitola “Webuild per lo sport. Costruire un sogno: storie di campionesse”. E le campionesse, oltre alla già citata Carini, sono la velista Caterina Banti (oro a Parigi in coppia con Ruggero Tita), la judoka Alice Bellandi (oro nella categoria -78 kg), la velocista Zaynab Dosso (semifinalista nei 100 metri a Parigi e primatista italiana sui 60 e 100 piani) e la marciatrice Antonella Palmisano, che nella 20 km ai Giochi si è ritirata a causa di problemi fisici. Per Webuild «loro rappresentano audacia, perseveranza, resilienza, tenacia e passione», non tanto, immaginiamo, per quello che hanno fatto (o non fatto) alle ultime Olimpiadi, ma per quelle qualità che servono ad arrivare a quei livelli. Qualità straordinarie, così come straordinaria è l’opera che la società di costruzioni si appresta a realizzare.
E invece no, per i leoncini da tastiera, perseveranti e resilienti solo nell’insultare tutto e tutti, la Carini non può rappresentare quei valori e allora giù di sfottò e insulti. Tra i più gettonati ci sono quelli sulla durata del match: «Carini testimonial del Ponte sullo stretto. Molto indicata come scelta, una che non porta a termine un incontro per un’opera che non sarà mai portata a termine»; «Anche il Ponte crollerà dopo 46 secondi?»; «Se il Ponte avrà la stessa resistenza della Carini siamo in una botte di ferro»; «Insomma questo ponte cadrà al primo pugno». E questi, tutto sommato, sono i più benevoli. Poi ci sono quelli che parlano di «barzelletta mondiale» o chi la insulta direttamente: «La Carini più che passione avrei scritto Codardia o Debolezza»; «La Carini è scappata al primo pugno. Campionessa di codardia. Se il vostro ponte avrà la stessa resistenza poveri noi!». Questo si Instagram. Ma su X non va meglio. A partire dal paladino dell’ovvio, Luca Bottura, che da quando si è ritagliato il ruolo di “epurato” da Radio Rai non si tiene più.
Dopo la performance olimpica del «suka» rivolto a un europarlamentare della Repubblica Italiana, Roberto Vannacci, per la vittoria dell’oro della pallavolo femminile in cui milita Paola Egonu (espressione “alta” sulla quale il solerte Ordine dei giornalisti non ha avuto nulla da eccepire), evidentemente non ancora appagato, ha replicata anche sul “caso” Carini-Webuild con una battuta («Ponti che resteranno in piedi 45 secondi») che come abbiamo ampiamente documentato, avevano già fatto una mezza milionata di internauti. Segno di una vena ironica un po’... inaridita, o meglio... inacidita.
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COMBINAZIONE PERFETTA
Del resto sulla fantomatica e inesistente liaison tra Carini e centrodestra si scrive da tempo. Dopo il già citato incontro con la Meloni i media di sinistra s’inventarono non ben precisate offerte di lavoro per la pugile cara a don Patriciello, il parroco di Caivano reo di aver detto che il presidente del Consiglio aveva mantenuto le sue promesse sul quartiere partenopeo.
La campagna di Webuild ha semplicemente reso ancor più violento il livore contro Angela Carini (e il centrodestra), perché ha unito l’imperdonabile pugile che a Parigi della Meloni aveva detto: «Mi ha guardata come una mamma»; e l’ossessione che la sinistra tutta ha per il Ponte sullo Stretto, voluto prima dall’arcinemico Silvio Berlusconi e ora dall’altrettanto odiato Matteo Salvini. Una combinazione perfetta per gli odiatori di professione, che hanno trovato nella povera Angela il bersaglio perfetto. Il tutto nel consueto silenzio delle femministe di sinistra, tanto leste a difendere l’onore di Imane Khelif, quanto omertose verso gli insulti rivolti alla Carini. Ma questa è una storia che abbiamo già visto e raccontato mille volte e che, francamente, non stupisce nemmeno più.
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