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Strage di Bologna, Andrea Colombo: "La sinistra per prima ha criticato i processi"

Daniele Dell'Orco
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Giornalista di vecchia data ed ex militante di Potere Operaio, Andrea Colombo ha seguito da vicino, per “Il Manifesto”, le fasi del processo sulla strage di Bologna. Pur orientato a sinistra, è da sempre antigiustizialista e critico dell’antiberlusconismo più feroce. Negli anni, è stato tra i principali sostenitori dell’innocenza dei Nar sulla bomba alla stazione.

Colombo, ormai il 2 agosto è una sorta di capodanno politico. Ogni anno si rinnovano le polemiche...
«Quest’anno però hanno assunto un connotato diverso, perché non era mai successo che un diritto costituzionale di chiunque, cioè esprimere un’opinione, venisse considerato una specie di delitto».

 

 

Si riferisce alle parole di Federico Mollicone?
«Le accuse contro di lui sono assurde, ma non c’è solo questo. Quest’anno è stata imbastita ufficialmente un’operazione di mistificazione, secondo la quale palesare il dubbio che una sentenza sia sbagliata comporti automaticamente una presa di posizione politica. Gli innocentisti sulla strage di Bologna sarebbero di destra, i colpevolisti di sinistra. Questa è una bugia colossale».

Difatti lei è un innocentista della prima ora...
«Ma nemmeno. Tra i primissimi ci furono Luigi Cipriani di Democrazia proletaria, magistrati sicuramente non di destra come Giuseppe Di Lello o Guido Salvini, giornalisti come Guido Ruotolo, Rossana Rossanda, Erri De Luca. Da lì sono nate realtà come il comitato “E se fossero innocenti?”...».

In più c’era l’avvocato della difesa, Tommaso Mancini, comunista, che lavorò per ottenere l’unica assoluzione per gli imputati, quella in appello del 1990. Lei, da uomo di sinistra, non si sentiva a disagio in quegli anni?
«Ho iniziato ad occupami del caso su incarico de “Il Manifesto”, che ora ha cambiato un po’ linea. All’inizio non ero così entusiasta, perché sono ancora convinto che lo stragismo sia un fenomeno di matrice neofascista. Ma persone di sinistra di cui mi fidavo mi ripetevano che in quel processo qualcosa che non funzionava...».

Cosa nello specifico?
«Il processo è indiziario, quindi per definizione senza prove. Ma il problema è che per le condanne dei componenti dei Nar non c’erano, e non ci sono, nemmeno gli indizi. L’impianto accusatorio si basa quasi esclusivamente sulla testimonianza di Massimo Sparti. Sostenne di essere stato contattato da Francesca Mambro e Valerio Fioravanti per dei docuementi falsi e che gli confessarono di aver piazzato la bomba alla stazione vestiti da tirolesi. Sparti era un criminale di serie C, e per le carte d’identità si sarebbe affidato ad un falsario, che io andai a cercare...».

Una vicenda raccontata nel suo libro “Storia nera” (Cairo, pp. 367, euro 14)...
«Sì, in sostanza andai da Fausto De Vecchi, altro di serie C, che si barricò in casa appena mi vide. Secondo le sentenze Fioravanti aveva in tasca 1 milione di dollari, che all’epoca erano tanti soldi, elargiti da Licio Gelli, con cui poteva muoversi liberalmente perché coperto dai servizi segreti sempre agli ordini di Gelli. Perché si sarebbe dovuto rivolgere a due pezzentoni? De Vecchi poi sostenne di aver fatto i documenti per due maschi. Solo dopo annidi sollecitazioni accusò Francesca Mambro. L’incontro tra Sparti e i Nar venne smentito da tutti i suoi familiari, compreso il figlio Stefano che all’epoca era un bambino ma ricordava che il padre fosse rimasto in quei giorni a Cura di Vetralla. Finì inquisito a sua volta per falsa testimonianza. Di recente si è tolto la vita».

C’è anche il nodo del movente...
«In generale è una sentenza “appesa nel vuoto”. Basti pensare all’ultimo processo Bellini, figura losca, che Fioravanti nemmeno conosceva. È un processo fatto a colpevoli morti. La ratio politica sta nel trovare un elemento che permetta di dire che la sentenza non sia traballante dicendo: è stato Licio Gelli. L’elemento che nelle sentenze viene definito “eclatante” è un plico con su scritto “Bologna” e il numero di un conto svizzero su cui sono transitati 5 milioni. Ma non c’è prova che quei soldi servissero a finanziare la strage. Non c’è alcuna relazione certa tra Fioravanti e Gelli. Anzi, c’è la responsabilità conclamata di Gelli del depistaggio sul Taranto-Milano, ma quel depistaggio portava proprio ai Nar.
Quindi semmai era un “inpistaggio”».

Lei nel corso degli anni Mambro e Fioravanti li ha conosciuti bene...
«Sono amici. Cosa che ha spinto tanti a dire che li difendo perché sono amici. Ma non sostengo la loro innocenza su tutto. Si sono macchiati di crimini orrendi. Diverso il discorso di chi confonde il terrorismo nero con l’Msi. Paolo Bolognesi nel suo discorso ha fatto confusione mettendo dentro Avanguardia Nazionale, Ordine Nuovo, Msi. Parlare del coinvolgimento di Almirante è ridicolo. Questa secondo me è una “chiamata alle urne”».

Cioè?
«Torna utile provare a teorizzare che in fondo i fascisti non sono mai cambiati e ora bisogna combatterli perché sono al governo. È anche un modo per tornare a mobilitare gli elettori che non votano più. Questo discorso però bisognerebbe farlo senza usare la clava della storia per alimentare una guerra di civiltà. È nata con l’antiberlusconismo, poi con i grillini, poi con Salvini e ora con Meloni. Ciò detto, su Bologna c’è sempre stata una sinistra insofferenze, che parla delle lacune processuali come un delatore, un utile idiota della destra. Ma, mi faccia dire, anche la destra ha avuto delle responsabilità».

Si spieghi...
«Fino agli anni ’90 si parlava della strage di Bologna solo a sinistra. Poi la destra più moderna, con meno imbarazzi, si è inserita nel dibattito ed ha, colpevolmente, provato a vagliare le piste alternative, come quella palestinese, con troppo vigore, nel tentativo di colpire la sinistra pro-Pal. Poi c’è stato un punto di non ritorno...»

Quale?
«La triste storia di Mauro Di Vittorio, una delle vittime della strage. La sorella era innocentista. Poi però si iniziò a sostenere che fosse stato lui a trasportare la bomba, rimanendone vittima, poiché Di Vittorio era stato vicino a Lotta Continua. Da quel momento è diventata una guerra di identità. Da sinistra i vecchi innocentisti sono stati più silenti, e la scena è diventata monopolizzata dai colpevolisti e, in ultimo, dagli attacchi politici strumentali».

Non c’è modo di uscire da questa spirale?
«Ora come ora sarà difficile. Passata questa sbornia identitaria forse le persone inizieranno a misurarsi con le sentenze in modo laico, e questa storia smetterà di essere usata. Negli anni ’90 ci fu un tentativo di pacificazione, penso a Luciano Violante sulle “ragioni dei vinti” di Salò. Ma anche dalla destra serve fare qualche abiura in più».

 

 

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