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Khelif, Paola Concia: "Donne sacrificate sopra l'altare dell'inclusione"

Elisa Calessi
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Paola Concia ha tante vite. Una di queste è legata allo sport: laureata in scienze motorie, ha giocato a pallavolo in serie B e a tennis in categoria nazionale, ed è stata coach di tennisti ad altissimo livello. Poi, certo, è anche stata deputata del Pd, in prima linea, e in tempi molto più difficili degli attuali, nella difesa dei diritti delle persone omosessuali. Lei stessa lo è ed ha sposato Ricarda, con cui vive, dal 2014, a Francoforte.

Partiamo dalla Concia sportiva: se si fosse trovata al posto di Angela Carini, la pugile che si è ritirata dalla gara con l’algerina Imene Khelif, cosa avrebbe fatto?
«È molto difficile giudicare. La pressione a cui sono state sottoposte quelle due atlete, entrambe, incide sulla prestazione. Non so cosa avrei fatto semi fossi trovata nei panni di Carini. Io penso che, banalmente, non ha retto la pressione. Eva rispettata».

Lei ha invitato a smetterla con l’ideologia, a non nascondere la testa sotto la sabbia, e a tenere lontana la politica. Con chi ce l’aveva?
«Con tutti, destra e sinistra. Mi ha dato fastidio, da ex donna di sport, questa ricerca ossessiva dello scontro. Ha cominciato il centrodestra, la Lega, poi naturalmente la sinistra gli è andata dietro alla grande, facendo diventare questa vicenda uno scontro politico in cui Carini è la paladina della destra, Khelif della sinistra. Una cosa ridicola. Hanno detto che è un’atleta trans, cosa non vera, elì è scoppiata la diatriba tra inclusione ed esclusione. Ma lo sport è un’altra cosa, non si possono avvelenare i pozzi».

 

 

 

Detto questo, c’è un problema o, come sostengono altri, non c’è?
«Certo che c’è. La destra ha sbagliato perché ha sostenuto che Imene Khelif fosse una persona trans, cosa che non è. Però non si può negare che un problema c’è, la sinistra non può dire che va tutto bene madama la marchesa. Il testosterone alto non è un problema ininfluente nello sport».

Dicono: il Cio l’ha ammessa, rientrava nei parametri, quindi poteva gareggiare.
«Certo. È assodato che poteva gareggiare. Ma è stata esclusa dai Campionati Mondiali. È un errore gravissimo che vengano usati criteri diversi a seconda delle federazioni, perché gli atleti sono gli stessi. I problemi sono i parametri e le regole che ci si danno. Non devono essere ballerini».

Khelif però è donna. Può solo una quantità di testosterone più alta del normale, in un corpo di donna, alterare la gara?
«Certo, è un dato di realtà. Del resto il testosterone è un parametro che viene guardato proprio nelle analisi antidoping, proprio perché altera molto la prestazione. Ci ricordiamo le atlete dell’Est Europa che erano imbottite di testosterone? Si cominciò a fare l’antidoping proprio in seguito a quello scandalo».

Però l’atleta algerina ha questa caratteristica dalla nascita.
«Bene. Ma l’interrogativo sul testosterone, da cosa dipenda il dato fuori dalla norma, e se altera la prestazione, è un interrogativo che va posto e su cui occorre prestare attenzione, perché se no si rischia che, per includere, finiamo per escludere. Io voglio che si possa gareggiare tutti e alla pari, perché questo è un principio fondamentale dello sport. Se no, non esisterebbe l’anti-doping».

Lei ha detto: attenzione a non sacrificare sull’altare del politicamente corretto il rispetto per il corpo delle donne. Cosa intendeva dire?
«Il tema è questo: partendo dal presupposto che lo sport è la massima espressione della differenza tra uomini e donne, ho appena letto uno studio di un’avvocata sportiva su cosa accadrebbe se donne e uomini gareggiassero insieme».

E cosa conclude?
«Che le donne non si qualificherebbero mai. Partendo da questo presupposto, non è possibile, sull’altare del politicamente corretto e dell'inclusione, sacrificare le donne. Perché poi, alla fine, quelle danneggiate sono le donne. Io dico: va bene, tutto sta cambiando, ci sono casi nuovi, persone trans, intersex, in transizione, ma troviamo un modo per cui alla fine non ci rimettano le donne».

 

 

 

A me pare che la questione sia tra chi accetta che ci sia una differenza tra maschi e femmine e chi pensa che, in nome della non discriminazione, vada superata. Lei cosa pensa?
«Io penso che esistono le donne, gli uomini, le persone trans, non binarie. Ma è folle pensare che per includere le persone trans o intersex bisogna danneggiare le donne, perché poi, stranamente, si finisce sempre per danneggiare le donne. Io, certo, non sono una persona che discrimina, ma bisogna trovare nuovi equilibri.
Ci si potrebbe interrogare sull’ipotesi di prevedere una nuova categoria, non lo so. La differenza sessuale nello sport, che è la quintessenza del corpo, perché ha a che vedere con la conformazione ossea, coi muscoli, è un dato di realtà e bisogna accettarlo. Negarlo è ideologico, non ha riscontro con la realtà. E si fa un danno a tutti. Se dici che vanno superati i sessi nello sport, vuol dire che le donne non vinceranno più una gara. Negando la realtà, si alimenta una guerra per cui non si trovano le soluzioni. Alice Bellandi, l’atleta di judo che ha vinto l’oro, non avrebbe mai vinto con un uomo».

Molti a sinistra, ultimo Stefano Bonaccini, hanno argomentato che in fondo Khelif è stata battuta da altre donne, dunque quale è il problema?
«Che abbia tratti molto forti di androginia è innegabile. Se è intersex è intersex. Certo che è stata battuta. Il Cio ha deciso che doveva gareggiare, bene. Ma penso che il Cio debba fare una riflessione e rimettere a punto i suoi parametri che non sono politici, ma scientifici».

Alessandra Majorino, del M5S, ha detto che questa vicenda ha dimostrato come “la divisione manichea maschio/femmina non esiste”.
«Ma come fa? Ecco questo è l’esempio di come l’ideologia acceca. Come nessuno nega che esistano le persone trans o non binarie, come si fa a dire che non esistono maschi e femmine? Perché si deve negare che esistano le donne? Vogliamo trovare un po’ di equilibrio o è tutta propaganda?».

 

 

 

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