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Carlo De Benedetti senza vergogna: dà lezioni di economia? Toh, cosa "scorda"

Sandro Iacometti
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Gli affari per Carlo De Benedetti, dopo le liti con i figli e l’uscita da tutte le società di famiglia, non vanno benissimo. La sua nuova galassia imprenditoriale ruota intorno alla Romed. Società che, attraverso una serie di “scatoline” cinesi, che non hanno nulla che vedere con quelle maestose di un tempo, di cui l’ingegnere è stato antesignano e profondo conoscitore, controlla il quotidiano Il Domani e una raffica di partecipazioni in aziende prevalentemente del settore biomedico.

Ebbene, sulla base degli ultimi bilanci disponibili, oltre alla svalutazione per 7,6 milioni della quota detenuta nel gruppo editoriale, che ha chiuso il 2022 con una perdita di 3,5 milioni, De Benedetti ha dovuto fare i conti, sempre nel 2022, con un rosso della holding, come ha scritto qualche tempo fa Franco Bechis su Open, di 43,9 milioni, a cui si aggiungono i 31,4 dell’anno precedente che, scrive il direttore della testata online, «sta assorbendo anche le riserve messe da parte negli anni d’oro». Il gruppo dell’ingegnere, complessivamente, ha un debito per 147,7 milioni di euro, cresciuto di 25,2 milioni rispetto all’anno precedente. Di questi, scrive Bechis, «107,5 milioni sono nei confronti di banche, garantiti dai titoli azioni di proprietà di De Benedetti, costituiti in pegno».

 

 

 

Malgrado le recenti difficoltà, i diversi inciampi e i non pochi passi falsi che hanno costellato la sua lunga carriera, Carlo De Benedetti, che vanta la tessera numero uno del Pd anche se sembra non gli sia mai stata consegnata, non ha però perso la voglia di dare lezioni. Anzi. Il suo quotidiano ne elargisce a mani basse su ogni argomento, dalla politica all’etica, dall’economia ai diritti civili. E va bene.

RAMANZINA
Questa volta, però, è arrivata anche una bella sessione didattica sulla sana imprenditoria impartita alla famiglia Angelucci, le cui vere colpe sono più che altro quelle di editare le testate Libero, Il Tempo e Il Giornale. Ma siccome non si può accusare un gruppo imprenditoriale di contribuire al pluralismo dell’informazione, Il Domani si è scagliato contro una presunta serie «stranezze» compiute in spregio delle buone regole della società civile. La prima, e forse la più grave secondo il quotidiano di De Benedetti, è che il capofamiglia Antonio Angelucci, deputato della Lega, con «in tasca la licenza media, risulta il più ricco di tutti» in Parlamento. Com’è possibile che uno che si è fatto da solo abbia tanti soldi?

 

 

 

Qui gatta ci cova. Ma Il Domani ci svela prontamente il mistero. Angelucci è un furbacchione che ha creato una fittissima rete di società offshore nei paradisi fiscali sparsi per il pianeta per fare magheggi a tutto spiano e soldi a palate in barba al fisco e alle leggi. Non abbiamo dubbi che sarà la Guardia di finanza ad occuparsi con solerzia delle gravissime notizie di reato contenute nella accuratissima inchiesta del quotidiano.

Quello che desta stupore, a noi giornalisti poco colti e un po’ grezzi di un quotidiano che si muove nell’area del centrodestra, è come sia possibile che a fare la morale sia un giornale il cui editore è stato coinvolto nel crack del Banco Ambrosiano ed è stato condannato (con pena comminata in seguito a patteggiamento) per falso in bilancio nei suoi anni da manager alla Olivetti.

Fermi tutti. Abbassate i telefoni e chiudete le mail con cui stavate per avvertire i cazzutissimi legali dell’ingegnere della grave diffamazione a mezzo stampa compiuta dal quotidiano Libero. La querela è stata già fatta. E persa. Correva l’anno 2013 quando Marco Tronchetti Provera si permise di dire ai cronisti dell’Ansa queste cose, aggiungendo anche che De Benedetti fu «allontanato» dalla Fiat, che è stato «discusso per lo scandalo legato alla vicenda di apparecchiature alle Poste Italiane», che parla una lingua diversa, essendo cittadino svizzero. Apriti cielo.

 

 

 

L’ingegnere andò su tutte le furie e portò l’imprenditore milanese in tribunale. Mai decisione fu più incauta. Già, perché il giudice, invece di difendere l’onore leso del querelante e restituirgli la sua dignità e la sua reputazione ferita, si è messo a fare un po’ di ricerche. E, guarda un po’, si è scoQualche passaggio della sentenza rende meglio l’idea. De Benedetti continua a ripetere che lui dalle indagini sul crack del Banco Ambrosiano ne uscì pulito, con una doppia assoluzione. Verissimo. Solo che, si legge nella sentenza «la condotta del querelante è stato oggetto di un proscioglimento istruttorio, non impugnato, e di due sentenze di condanna (per bancarotta, ndr) successivamente annullate per via di quella mancata impugnazione». Insomma, De Benedetti se l’è cavata, sembra di capire, per un cavillo giuridico. Il che basta, secondo il giudice, a rendere vera l’affermazione che l’ingegnere è stato «coinvolto» nel crack più famoso della storia d’Italia.

Capitolo Olivetti. Qui è più semplice. De Benedetti è stato effettivamente condannato, con sentenza di applicazione della pena, dal Gup di Ivrea nel 1999, alle pena di 3 mesi di reclusione per falso in bilancio commesso in qualità di ad del gruppo e presidente del consiglio di amministrazione in tre esercizi (1994,1995 e 1996). Insomma, per il tribunale di Milano ce n’è abbastanza «per definire “discussi” i “bilanci” di Olivetti, senza incorrere in una falsa affermazione».

La sostanza è quella con cui Tronchetti Provera aveva condito le sue affermazioni, che non erano rivolte ad offendere o a danneggiare la reputazione, ma solo a tentare di stabilire un principio di civiltà. «Questo è un Paese», spiegava il manager, «dove in tanti, se avessero un filo in più di memoria e di buon gusto, dovrebbero smettere di fare la morale agli altri». Auspicio, purtroppo, che resterà deluso.

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