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"Zappare": ecco cosa significa questa parola millenaria

Massimo Arcangeli
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Nel 1927 Maria Teresa Germano, citata in giudizio per ingiurie dal calzolaio Giuseppe Dito, che le aveva fatto un paio di scarpe, viene condannata a una pena pecuniaria di 20 lire. L’aveva apostrofato così, rincarando la dose con un gesto volgare: «Vai a zappare, perché non sai fare le scarpe. Se non ci fosse la legge ti fricherei queste scarpe in faccia, brutto sfacciato».

Nel 1378, coi cardinali riuniti a Roma in conclave per l’elezione del successore di Gregorio XI – sarà Urbano VI –, uno dei porporati elettori, Giacomo Corsini, aveva esortato sprezzante il popolo di Roma, che si era sollevato contro il collegio cardinalizio perché voleva al soglio pontificio un papa romano, o almeno italiano, ad andare a zappare la vigna.

 


Parole come zappaterra e contadino, cafone e campagnolo, burino e bifolco, villico e villano, neutre in partenza, hanno sviluppato valori negativi, come l’espressione andare a zappare, per l’avversione degli abitanti di città, sdegnosi verso la gente di campagna, per inurbati e residenti extraurbani. Tutto è iniziato da quell’età tardo-medievale che con la “satira del villano” e quanto ne sarebbe seguito, passando per il dantesco «puzzo / del villan d’Aguglion» (Paradiso, XVI, vv. 55-56) e i toni di scherno di una lunga tradizione, aveva riformulato in senso sociale la distinzione fra la “lingua di città” (sermo urbanus) e la “lingua di campagna” (sermo rusticus) dell’antica Roma. Giosue Carducci, già tonante contro la «plebe contadina e cafona», ce l’ebbe anche coi ciociari: «Ed un ciociaro, nel mantello avvolto, / grave fischiando tra la folta barba, / passa e non guarda. Febbre, io qui t’invoco, / nume presente» (Dinanzi alle terme di Caracalla, vv. 17-20). A stigmatizzare il disprezzo dell’artiere per la cultura contadina una sinistra indignata, come ci ricorda il poeta stesso (4 febbraio 1893) con una precisazione: «Fu chi intese che questi versi augurassero la malaria ai buzzurri. Ohimè! Io intendevo imprecare alla speculazione edilizia che già minacciava i monumenti, accarezzata da quella trista amministrazione la quale educò il marciume che serpeggia a questi giorni nella capitale».

 

 

 

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