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Così risse e bordelli si fecero arte

Mario Bernardi Guardi
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Ben lontana dagli antichi splendori imperiali, la Roma del Seicento porta ben impresso il contrassegno della decadenza: poco più di centomila abitanti (Londra ne ha il doppio), la campagna che ha invaso la città, erbe e sterpaglie con pecore brucanti negli obliati Fori, in ogni dove mendicanti, ladri, zingari, prostitute, bimbetti cenciosi. E tuttavia l’immagine non è quella dell’abbandono: mentre si inseguono pesti e carestie pulsa la vita. Ancorché maleodorante.Ungran fervore tra vicoli, rioni e ruderi, tra palazzi nobiliari, casupole, tuguri. E chiese e conventi in costruzione grazie all’impulso dei papi controriformisti. Insomma, un cantiere confuso e operoso, pieno di botteghe, commercianti, artigiani. Tanti gli artisti. E se Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio, muore non ancora quarantenne nel 1610, portandosi dietro misteri inquietanti e irrisolti, ben vivo è il suo lascito. Insomma, una composita fauna di pittori attinge alla sua eredità: luci e ombre che plasmano le forme, divinità pagane che si mescolano ai santi, Madonne che sbocciano da volti e corpi di popolane e cortigiane.In particolar modo è nella zona di Campo Marzio che gli artisti si accampano volentieri. Ci sono le bettole dove ci si sbronza, tante belle donne disposte a far da modelle e non solo, un’aura di chiassosa creatività che ispira.

ARTE, RISSE E STREGHE
Ne è ispirato sin da piccolo Angelo Caroselli come ben rileva Maurizia Tazartes che gli dedica una documentata ed empatica biografia (Angelo Caroselli e compagni di strada, Mauro Pagliai Editore, pp. 107, euro 18). Al centro, il vitalissimo e sanguigno quartiere romano, tra “arte, risse e streghe”. Qui Angelo impara subito a lavorare - e bene- nella bottega del padre “rigattiere”, dove si fa di tutto perché si riparano anche strumenti musicali e, su commissione, si copiano famose opere d’arte. Angelo è un bravo copista ma vuol diventare pittore. La Tazartes ne segue la crescita, tra un variar d’avventure. Perché lui è colto, gran lettore di testi filosofici e ostenta attitudini da “bohémien” malvestito e trascurato, ma è anche un donnaiolo impenitente. È vero che si innamora di una modella napoletana, Maria Turca, e la sposa,maè altrettanto vero che dovunque si sgonnelli, Angelo è lì, tanto che diventerà collaboratore e amico del pittore Agostino Tassi, lo stupratore di Artemisia Gentileschi (a babbo Orazio, Artemisia e Agostino la Tazartes ha dedicato tre monografie). Caravaggio ha ben seminato e l’artista Angelo “c’è”. L’Autrice lo evoca insieme ad altri talenti: il lucchese Pietro Paolini, i fiamminghi che si erano innamorati di Roma e di Campo Marzio come Pieter van Lear e Claude Lorrain. Angelo si trova bene tra questi tipi singolari e irregolari.

Ci va a giro e poi si mette al lavoro “pescando” nel mito, nella letteratura, nella storia, nella religione. La Tazartes “legge” alcune delle sue opere più celebri: da Lesbia che piange per la morte del passero, dove la modella è la consorte cornificata e imbronciata, ed è ritratto anche lui mentre, per consolarla, suona la lira, con un’aria da sciupafemmine impunito; a Vanitas, che dovrebbe essere un appello a trascurare le cose del mondo ma dove la modella che esibisce uno scritto col Memento mori ha l’aria sfrontata di chi dice “Vivi e goditela!”. Si proclama stoico,Angelo,ma vuol “vivere” gli eccessi della sua strana Roma, dove non si sa quanto i papi “pontifichino” e quanto, invece, si interessino d’altro. Perché, per esempio, la fascinazione esercitata da streghe, maghi e negromanti è potente. E Angelo - che tra risse, zuffe e figli coinvolti in atti giudiziari ha i suoi guai - deve “raccontare” quel che lo circonda. Bene, opere come Negromante, Scena di stregoneria, La Maga (Circe) con animali, testimoniano le suggestioni di una “grande bellezza” con orrori sparsi.

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