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Galliani, il ricordo su Berlusconi: "Sulle macchinine, col gelato in mano"

Francesco Specchia
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La politica, in fondo, è questione d’infanzia commestibile, diceva Guareschi. "Le racconto una cosa inedita che ormai è in prescrizione. La sera di quel novembre ’79, al ponte dei morti, quando mi invitò a cena per conoscermi, la sua prima domanda fu sulle mie idee politiche. Io risposi: 'Dottor Berlusconi, io non so come la pensa lei, ma il mio papà, da piccolo, mi diceva sempre che i comunisti mangiano i bambini, e lì io sono rimasto'. Silvio si alzò e mi venne incontro per abbracciarmi. In fondo la nostra generazione veniva da Stalin e dal suo ministro degl’Interni, l’anima nera Lavrentij Pavlovi Berija, il massacratore...". Adriano Galliani è in forma. Increspato di commozione e avvolto in una potente nostalgia nel primo anniversario della scomparsa del Cavaliere, il senatore e ad del Monza Calcio, sventaglia una pirotecnia di ricordi.

Caro Galliani, sono in molti a dire che Berlusconi adesso è come l’aria: quando mancatene accorgi. A lei cosa manca, oggi, di Silvio?
"Ci manca tutto. Quando lo conobbi, appunto avevo la mia azienda, l’Elettronica Industriale, facevamo i ripetitori per la Tv Svizzera e Tele Montecarlo in Italia. In quella famosa cena d’esordio mi chiese pure se fossi stato in grado, con la mia fabbrichetta di Lissone, di organizzare una tv nazionale attraverso tre reti perché, per non esser schiacciati dalla Rai dovevamo arrivare alla loro dimensione industriale. Mi domandò: “sa perché la Fiat produce due milioni di auto ? Perché le fa fare alla Volkswagen in Germania e alla Renault in Francia".

 



E lei, tra sé, non pensò che la stava accompagnando sulla strada della follia che forse non portava al castello della saggezza?
"Tutt’altro. Dissi subito di sì. E mi vidi di fronte un visionario in grado di realizzare le sue visioni. “Bene, mi fido di lei”, rispose; e mi offrì di diventare socio di metà delle mia azienda, “faccia lei il prezzo” così, sulla fiducia, senza nessun tipo di due diligence (alla fine il prezzo fu un miliardo di lire, ndr). Fu il mio cambio di vita. E quella sera stessa iniziai con lui, parallelamente, anche la mia carriera nello sport".

Fu allora che le lanciò la suggestione di comprare il Milan per farne, senza ombra di dubbio la squadra "campione d’Italia, poi d’Europa e poi del mondo" (altro progettino semplice semplice)?
"No, quello venne dopo. Allora gli disse: “però mi deve lasciare la mia passione: seguire il Monza in calcio e in trasferta”, così fu. Feci la mia carriera a Mediaset di cui divenni anche amministratore delegato (dall”86 al ’98) finché, nell’85, comprammo il Milan. Molti anni dopo acquistammo il Monza stesso – ma io non lo sapevo- e, insomma, da lì la leggenda. La mia esistenza si è intrecciata inevitabilmente con quella del mio unico maestro di vita".

Lei dice: Berlusconi viaggiava su circuiti mentali superiori a quelli dei normali esseri umani. In che senso? E quanta di quella genialità ha tramandato ai suoi posteri?
"Confermo. Era un genio in quattro vite diverse. Nell’edilizia, per esempio, mentre gli altri costruttori pensavano a fare i quartieri lui pensava a creare un’intera città: e Milano 2, un posto dove le auto non s’incrociano mai con le presone e le bici, è diventato un esempio nella storia dell’urbanistica. Poi ci fu le televisione che accettava solo pubblicità nazionali, allargava l’orizzonte sempre".

In tv era il periodo dei “pizzoni”, un’ora di programma registrato già con la pubblicità e un po’ di informazione “settimanalizzata” mandata in contemporanea a tutte le emittenti locali per dare l’impressione della diretta, che non avevate...
"Tempi eroici ho piantato quasi 2500 ripetitori. E, sì, inviavamo i nostri ragazzi in tutt’Italia, con gli aerei, per consegnare alle varie emittenti locali, il “pizzone” appunto, perché non avevamo la diretta, ma lui voleva dare l’impressione agli spettatori di averla come la Rai. Poi, con Dell’Utri mi portava a vendere la pubblicità. Se gli inserzionisti si lamentavano della cattiva ricezione del segnale, Silvio mi faceva intervenire: “Ma non si preoccupi, qui noi abbiamo il nostro mago delle reti, vieni Adriano...”. E io apparivo. Lei non ha idea di quanto abbia imparato da lui".

Conferma che la generosità dell’uomo Berlusconi fosse “il maggior pregio, ma pure il suo peggior difetto”? So che il Cavaliere faceva beneficenza, si ricordava col massimo scrupolo dei dipendenti, con un’educazione impeccabile, ai limiti dell’imbarazzo...
"Era soprattutto un uomo buono. Chi dice il contrario non ci ha mai lavorato, non l’ha mai conosciuto. E, - sa cosa? - aveva la stessa grande capacità di stringere la mano al presidente degli Stati Uniti e alla persone più umili, allo stesso modo. Ed è la cosa che io più ho cercato d’imparare da lui".

I figli Piersilvio e Marina fanno lo stesso.
"Sono figli di cotanto padre, hanno raccolto il testimone. La famiglia per Silvio era essenziale. Pensi ai suoi eredi rispetto agli Agnelli e a molti altri che non citerò. I cinque Berlusconi hanno accettato in toto le volontà del padre, il testamento completo senza nemmeno pensare di metterlo in discussione. Come dire: 'Tutto quello che decide il papà, noi lo eseguiamo. Mai un pensiero, mai una parola fuori posto”. Se ci pensa, una cosa straordinaria nel mondo dell’industria italiana'".

Tornando alla generosità di Silvio come difetto. Crede che qualcuno, negli anni, ne abbia approfittato, chessò nel caso delle Olgettine?
"Sì, probabilmente qualcuno ne ha approfittato, anche nel periodo delle Olgettine. Però, io lì resto convinto che lui sia stato oggetto in vita delle più grande persecuzione giudiziaria. Molti di quelli che allora gli si accanivano contro, dopo che è “successo quello che è successo” (nessuno tra gli amici nomina la morte del Cavaliere, quasi non fosse mai avvenuta... ndr) su di lui hanno modificato radicalmente il giudizio. Peccato che non l’abbiamo fatto prima, è un grande cruccio".

Si aspettava il risultato elettorale di Forza Italia alle Europee: un 9, 6% che ha definitivamente fugato il timore che il partito, scomparso il leader, implodesse?
"Lo spirito di Berlusconi a oltre la sua scomparsa. Quel “Berlusconi Presidente” nel logo del nostro partito ha senz’altro consentito a Tajani ( un Berlusca boy delle prim’ora, ne era il portavoce nel ’94, ricorda?) di fare il risultato che ha fatto. Poi, per carità, Antonio è stato bravissimo, è riuscito a unificare tutto il partito nel ricordo del fondatore, ha capito che Berlusconi era comunque insostituibile. E, di fatto, non l’ha sostituito".

Fedele Confalonieri afferma che lei e Silvio eravate come Lenin e Stalin, lui il teorico delle rivoluzione, lei che la metteva in pratica.
"Lenin e Stalin non sono –diciamo- storicamente nelle mie corde. Io, guardi, vengo dalla Dc, quand’ero piccolo mio padre mi impediva di andare a trovare un mio caro zio socialista perché stava al circolo social-comunista di Monza...".

Invece di Lenin e Stalin, posso citarle, se vuole, Tex Willer e Kit Carson. Fatto sta anche lei l’ha seguito in politica. Era anche lei favorevole alla discesa in campo?
"Io lo ero moderatamente. Ma non ero del gruppo coinvolto nella creazione del partito. Io ero stato scelto per far garrire la bandiera berlusconiana dal Milan sui campi da gioco. Il 18 maggio del ’94 fu probabilmente per Silvio uno dei giorni più memorabili: il Milan vinceva la Coppa dei Campioni 4-0 col Barcellona; e, contemporaneamente, il suo governo ottenne la fiducia in Senato".

Insisto. Lei l’ha seguito in politica. Ne era convinto, o era meglio rimanere nel calcio dove in molti la giudicano il migliore?
"Il 'migliore' era solo Togliatti. Però è vero: divenni senatore pure io. La prima volta nel 2018, io non volevo, per mantenermi neutrale con i tifosi; e la seconda nel 2022, addirittura al posto di Berlusconi.
Non volevo doppiamente. Poi però i figli, Marina e Piersilvio, mi dissero: 'È quello che vuole papà', proprio così al presente. E io ancora una volta obbedii, Garibaldi a Teano. Vinsi col 51%, pure in avamposti della sinistra, Monza compresa".

Stesso scranno, stesso collegio. Responsabilità pazzesca.
"Enorme. Ogni mattina mi sveglio e mi chiedo: e qui, cosa farebbe lui?".

Tornando al calcio: Gattuso dice che forse sul calcio era meglio Galliani di Berlusconi. Verosimile?
"No, è una boutade. In realtà, in tutto, Berlusconi era –nota Confalonieri- come Pelè divinità calcistica assoluta: avrebbe potuto fare la squadra perfetta anche con altri, ma noi non potevamo farla senza di lui. Eravamo in quattro –Bernasconi, Confalonieri, Dell’Utri, Galliani in rigoroso ordine alfabetico- “Silvio e la sua orchestra” (lui cantava da Dio in francese, aveva fatto la Sorbona); ognuno di noi aveva spicchi di personalità. Il paragone è quello della ruota di bicicletta: lui il mozzo, noi i raggi".

Capitava che lei, da Monza e Lissone, assistesse chessò, a telefonate con i Capi di Stato, a decisioni importanti?
"Aveva un’empatia straordinaria con i grandi della Terra, a Pratica di Mare fece incontrare Bush con Putin, per fare entrare la Russia nella Nato. Ci fu poi il suo intervento per impedire l’invasione della Georgia, o dell’Iraq da parte degli Stati Uniti. C’ero, li sentivo. Incredibile era che uno mangiava a Arcore con lui uno spaghetto, e all’improvviso ti arrivavano le telefonate dei Capi di Stato, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Osservavo e mi sembrava di vivere in un film".

Cinematografico era anche il mitico vulcano nella tenuta di Villa Certosa...
"Villa Certosa era strabiliante. Nell’estate 2021 ricordo tutti noi –amici stretti, figli, nipotinell’anfiteatro con due schermi enormi, a guardare la grande vittoria dell’Italia sull’Inghilterra agli Europei, a Wembley.
Lì c’erano una pizzeria e una gelateria, pensi. C’erano gli autoscontri, e ho ancora vivido il ricordo di Berlusconi sulla macchina che si divertiva come un bambino, una mano sul volante e l’altra col gelato. E mi ha commosso quando una settimana prima di andarsene, prendendo la mano della mia compagna Helga le ha detto: 'ti ringrazio per tutto quello che stati facendo per il mio amico Adriano'. Capisce?".

Capisco. Perché vi siete sempre dati del 'lei'?
"Negli ultimi anni mi dava del 'tu' mi aveva chiesto di darlo anch’io a lui, ma io non ci sono mai riuscito. Sul 'lei' vale l’idea che non toglie intimità ma da libertà: il copyright non è mio ma di Cesare Romiti, dalla sua frequentazione con l’avvocato Agnelli".

Galliani, lei ha Berlusconi tatuato dentro. C’è un insegnamento in particolare che oggi il Cavaliere potrebbe lasciare agli italiani?
"Agli italiani ha lasciato un insegnamento che amava ripetere ai giovani, “abituati a pensare in grande!”. Fa il paio con la frase che oggisovrasta l’entrata degli spogliatoi del Monza Calcio 'Chi crede combatte, chi crede supera gli ostacoli, chi crede vince'. Ecco, questo era Silvio Berlusconi...".

 

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