Riccardo Muti zittisce la sinistra: "Nessuno provi a sfruttare le mie parole"
Alla disperata ricerca di eroi di una resistenza immaginaria ad un’incipiente e altrettanto immaginaria dittatura non era sembrato vero alla sinistra nostrana di poter annoverare, fra i critici del governo, nientemeno che il Maestro Riccardo Muti. Il direttore d’orchestra, intervenuto alla serata di gala in onore dell’opera lirica italiana venerdì scorso all’Arena di Verona, aveva ritenuto infatti opportuno, rivolgendosi agli uomini di governo e di istituzione presenti, riproporre una metafora politica che ha una lunga tradizione, e che lui stesso aveva più volte utilizzato: la similtudine fra la società e l’orchestra.
In un’orchestra, aveva detto il Maestro, «ci sono i violoncelli, le viole, i contrabbassi, i tromboni, eccetera eccetera. Ognuno di loro spesso ha parti completamente diverse, ma devono concorrere tutti a un’unico bene, che è quello dell’armonia di tutti». Il direttore d’orchestra è un po’ come l’uomo di governo per Muti: un “prevaricatore”, il cui scopo è di dirigere il traffico degli accordi e dei disaccordi che generano l’armonia.
Qualsiasi persona di buon senso avrebbe subito capito che Muti avrebbe potuto riproporre questa metafora, del tutto “impolitica”, davanti a qualsiasi uomo di governo, di qualsiasi colore politico. L’occasione però era troppo ghiotta per i prevedibilissimi soloni della sinistra italiana, tutti con la puzza sotto il naso e sull’orlo di una crisi di nervi, per non accreditare subito l’interpretazione che Muti avesse parlato per sferzare la destra al potere. D’altronde, non è lui un uomo colto, aristocratico, severo, e non sono forse i rappresentanti del governo di destra, in rilevante presenza sul palco veronese, per principio “barbari”, “incolti”, “rozzi”, “impresentabili” e tutti tendenzialmente “fascisti”?
Basta dare una scorsa ai quotidiani di ieri, ai siti, ai tweet della “gente che piace”, per notare come non un minimo dubbio aleggiasse sul vero bersaglio delle parole di Muti: «La lezione di Muti al Governo», «Muti sfida la Meloni», «Muti bacchetta la Destra». E persino: «Il primo nemico dell’orchestra è il direttore», senza accorgersi che le parole del Maestro esprimevano solamente un paradosso, fra l’altro alquanto autoironico.
Non sembrava vero aver trovato il modo per rovinare la festa ad un governo che, dopo annidi colpevole dimenticanza, aveva patrocinato il riconoscimento della lirica italiana come “patrimonio dell’umanità” da parte dell’Unesco. Montata all’inverosimile la canea, a smorzarla è dovuto intervenire, nel tardo pomeriggio, lo stesso Muti con un comunicato che ha sconfessato le strumentalizzazioni di chi lo aveva tirato per la giacca.
«Nessuno provi a sfruttare con interpretazioni ingannevoli, proprio nei giorni delle elezioni, una frase da me pronunciata ieri sera all’Arena di Verona... La mia era una riflessione di carattere generale, che vado esternando da anni, senza alcun riferimento alle autorità presenti, in particolare al Presidente Mattarella e al presidente Meloni che, come massimi rappresentanti della nostra Italia, incoraggio con tutta la mia stima».
Insomma, un autogol da manuale, l’ennesima figuraccia di una sinistra in cerca d’autore e di idee. Chiusa in se stessa, essa ripete come un disco rotto frasi fatte e si muove con riflessi pavloviani. Che poi la realtà la sconfessi clamorosamente, non sembra insegnarle nulla. Dio acceca chi vuole perdere.