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Saviano&C. gridano alla censura ma temono solo la concorrenza degli altri autori

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Corrado Ocone
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Il copione è ormai noto, prevedibile, scontato. All’inizio c’è un episodio che viene distorto, una notizia che diventa una fake news perché interpretata in maniera tendenziosa.
Creato un “caso” a tavolino, si grida subito dopo alla censura e alla “deriva orbaniana”, si chiamano i giornali amici per fare un po’ di “ammuina”, si confida nell’incomprensione di quelli stranieri che, si sa, dell’Italia conoscono poco e a noi italiani ci vedono sempre un po’ con occhiali pieni di stereotipi e luoghi comuni. Insomma, lanciato l’arco, si vede l’effetto che fa.
Come è stato specificato dal commissario governativo Mauro Mazza, Roberto Saviano non è stato censurato da nessuno: il suo nome semplicemente non figurava (fino alla tardiva richiesta di ieri) fra quelli proposti da librai ed editori per rappresentare l’Italia, che fra l’altro è quest’anno il “paese ospite”, alla Fiera del libro di Francoforte. L’occasione era però troppo ghiotta per i nostri, cioè per il compatto mondo dell’intellettualità di sinistra, per lasciarsela sfuggire. E così è stato. Che poi tutto suoni terribilmente ridicolo agli occhi di una persona di buon senso, ciò diventa assolutamente secondario per chi evidentemente ha fini incompatibili con l’onestà intellettuale.


La polemica diventa poi addirittura surreale se si scorre l’elenco dei cento prescelti. Vi troviamo infatti il fior fiore dell’intellettualità di sinistra, rappresentata in ampia e soverchiante maggioranza. Chissà cosa penserebbero degli intellettuali italiani che gridano alla censura governativa i mille scrittori e uomini di cultura perseguitati veramente in tutto il mondo da autocrazie e dittature di ogni tipo? Tutti coloro che ogni giorno rischiano la pelle e spesso languiscono in carcere solo perché non accettano di adeguarsi alle “verità di regime” a loro imposte?


VITTIME O CENSORI?
In verità, a dirla tutta, chi in passato ha sistematicamente e programmaticamente messo in atto la censura è proprio questo mondo oggi scalpitante e in affanno. Avendo avuto saldamente in mano tutte le “casematte” del potere culturale (dalle accademie alle case editrici, dai media ai festival), esso si è guardato bene dal lasciare un po’ di spazio a chi era considerato fuori dal “cerchio magico” auto-accreditatosi. Ma tant’è! Più interessante mi sembra capire i motivi che spingono oggi ad avere una reazione così inconsulta e sproporzionata. Prima di tutto, mi richiamerei alla celebre teoria delle élite di Vilfredo Pareto. Il grande sociologo ci ha infatti insegnato che quando non c’è un ricambio, le élite, che siano culturali o no poco importa, si trasformano in casta, cioè in un potere chiuso e autoreferenziale, privo di autonoma forza vitale. Poiché la prima regola di una casta è quella di autoconservarsi, essa tende a far massa e ad agire compatta e coesa per sferrare gli attacchi di possibili nuovi pretendenti. Francesco Piccolo, Sandro Veronesi, e tutti gli altri scrittori che hanno minacciato di ritirarsi dalla delegazione italiana in solidarietà con Saviano, agiscono spinti da questo istinto primordiale.

LA PAURA DEL CONFRONTO
Gli intellettuali in questione si sentono infatti minacciati per l’ingresso nella cittadella fortificata della cultura ufficiale di un piccolo gruppo di intellettuali estranei al loro circolo, come in una misura esigua ma non irrilevante sta avvenendo con questo governo. Il pericolo è per loro non solo quello di dover spartire un po’ della torta di potere e onori, ma anche di dover cominciare a confrontarsi a viso aperto con idee diverse. Anche fra le idee vige infatti il principio della concorrenza: è solo dal loro confronto e scontro, da una sana competizione, che nascono idee nuove e diverse e la cultura tutta si vivifica. Non è un caso che nei regimi autoritari non ci sia una vera vita intellettuale. Né lo è il fatto che la nostra cultura, privata da tempo della concorrenza, langua, senza più grandi scrittori e con un predominio di idee conformiste e, appunto, altamente prevedibili. Si capisce che se si parte da questa necessaria concezione liberale della cultura, nessuno scrittore più ritenersi immune dalle libere critiche delle sue opere e delle sue idee, né può pretendersi depositario di una sorta di “diritto divino” a partecipare sempre e comunque a tutte le manifestazioni che desidera. D’altronde, lo scopo primario della letteratura, come di ogni opera d’arte, è quella di esprimere il reale attraverso l’intuizione e non di veicolare contenuti, per quanto alti e nobili essi possano essere e per quanto possano servire a costruirsi carriere. Ormai, il gioco è chiaro. Ritorna qui allora l’esempio dell’arco e dell’effetto che fa. Se non calibrato bene, esso può diventare un boomerang. Ed è questo effetto non calcolato che Saviano e i nostri temono in fondo più di tutto.

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