Piero Chiambretti, la bordata contro i colleghi che "lasciano la Rai e vanno a guadagnare"
La crisi è la dimensione del presente. Piero Chiambretti non la teme, anzi la cavalca. Ripartendo da un Almodovar d’annata col suo Donne sull’orlo di una crisi di nervi, omonimo del film spagnolo del 1988 e titolo del nuovo programma condotto il martedì sera in prima serata su RaiTre. Una televisione che il conduttore torinese vuole sformare. È un Chiambretti brillante quello che incontriamo alla vigilia della seconda puntata del suo nuovo show in onda domani sera che vedrà tra gli ospiti che lui chiama “interventisti”: Leo Gassmann, Paolo Mieli e l’attrice premio Oscar, Mira Sorvino. Per niente intimorito, anzi, caricato dalle critiche e forte di «apprezzamenti insospettabili di un pubblico silente che mi conferma come le persone in realtà dalla tv si aspettino altro». Esattamente quello che vuole portare lui in occasione di questo suo ritorno controcorrente in Rai.
Piero, quando usciva il film Donne sull’orlo di una crisi di nervi lei entrava in Rai perla prima volta. Ècasuale o voluto questo titolo ponte tra due epoche che ha scelto proprio al suo ritorno dopo molto tempo?
«È un titolo che suona bene, piace, crea equivoci, emozioni e ricordi per chi ha visto il film e poi ha al suo interno due parole chiave della nostra contemporaneità: donne e crisi che sono al centro dello scenario generale. Le donne sono protagoniste in tutto il mondo e ormai in tutte le realtà possibili che vanno dalla musica alla finanza, dalla moda al governo. La crisi non è solo delle donne ma è globale, derivata dalla precarietà in cui questo mondo tra guerre, virus e pipistrelli ci ha portato a non pensare più a lungo raggio ma stamattina per stasera. Detto questo, però, ci tengo ad aggiungere che il titolo del programma in realtà è riferito unicamente alle donne del mio cast, le uniche davvero in crisi, non agli ospiti del programma... Per capire meglio è il caso di guardare il programma».
Quanto alla Rai lei ha detto: «Sono felice di tornare, spero di trovare qualcuno». Che RaiTre ha ritrovato?
«Una RaiTre molto diversa perché avendo cambiato gli addendi è cambiato il risultato. Ci sono persone diverse, rispettabilissime, tutte molto brave ma non sono quelle che ho conosciuto io che erano altre. Il fatto di tornare in una rete che ha un marchio prestigioso ma è stata liberata da figure che per scelta o per costrizione - non lo so - sono state abbandonate al proprio destino, mi rende ancora una volta controcorrente, come in tutta la mia vita professionale e anche privata... Quando vanno via tutti, torno io».
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In questi mesi una delle principali accuse alla maggioranza politica è stata quella di aver svuotato la Rai e in particolare RaiTre dei suoi volti identitari. Davvero nessuno aveva pensato a lei tra i nomi da...censurare?
«Probabilmente no, anche perché l’occasione di venire a RaiTre in questa seconda parte della mia vita è nata quasi per caso e probabilmente proprio nell’uscita di molti c’è stato l’ingresso mio e di Giletti che siamo rientrati esattamente nel momento di maggiore crisi, segnato dall’uscita di diversi nomi che peraltro io sostengo non sono assolutamente delle vittime, visto che hanno trovato posti eccellenti dove possono lavorare benissimo. Perciò non li posso considerare come Luttazzi o Santoro cancellati per molto tempo dalla tv per via dell’editto bulgaro. Le persone di cui parliamo sono andate a La7, al Nove, qualcuno a Mediaset e non sono esattamente collocabili nella censura di Stato. Lavorano e guadagnano molto più di quanto guadagniamo noi. Io faccio il tifo per loro, però non facciamoli passare per vittime».
Ai critici che l’hanno accusata di aver fatto un melting pot dei suoi programmi precedenti cosa risponde?
«Su questo do una risposta che è la migliore di tutte. A parte che non leggo i critici da molti anni, perché non sono costruttive le critiche che fanno. Sarebbe utilissima una critica che consiglia e aiuta a migliorarsi. Però le faccio un esempio solo. Torquato Tasso ha scritto la Gerusalemme liberata che era un tomo enorme. Fu recensito da un signore che lo stroncò in quattro righe.
Secondo lei chi ha ragione? (sorride, ndr). È troppo facile stare dietro una scrivania e dire cose teoriche. Comunque quelli che lei chiama critici hanno simpatie, antipatie e vivono una condizione frustrante. Spesso e volentieri vorrebbero fare i conduttori o essere autori, direttori invece fanno solo i critici e sono pagati per guardarci, noi invece non siamo pagati per leggerli, quindi io non li leggo».
Resta il fatto che i giudizi sono stati severi anche relativamente al dato di ascolto...
«Ma guardi, io sono felicissimo che il programma faccia discutere. Sapevo benissimo di andare incontro a un progetto che doveva essere digerito. Qualcuno dovrà prendere l’Alka-Seltzer, qualcun altro invece potrà andare a dormire molto sereno perché non gli rimarrà sullo stomaco come certe peperonate mal scaldate. Il programma, proprio perché ho libertà di scrivere e fare quello che mi pare, cosa che non capita a molti in tv e tanto meno nei giornali, è proprio quello di costruire programma che abbia molte di quelle cose che non si dovrebbero fare. Però proprio perché stiamo su una rete piccola ma molto prestigiosa è giusto andare incontro a degli anacronismi che non seguano la formattizzazione. Io cerco di sformare, oltre che me stesso, anche i linguaggi Scelte pensate per essere messe in scena, non casuali o confuse e possibilmente migliorate nel corso del tempo».
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A Belve ha detto che le donne le fanno un po’ paura. Per questo ha dedicato loro ben due trasmissioni di seguito?
«Le donne sono importantissime. A cominciare dalle mamme. Mi sono definito mammone non solo perché lo ero con mia madre ma perché amo Mamma Rai. Mi confronto con Mamma Rai perché mi piace vivere il rapporto con un’idea di mamma che è la rappresentazione di tutte le mamme. Sono convinto che fare un osservatorio sulle donne sia più interessante che farlo sugli uomini. Le donne sono continuamente cacciate come prede, ricercate dagli uomini dei quali, proprio parlando di donne, non si può non parlare. Uomini che peraltro sono in crisi quanto le donne, che spesso sono più avanti, coraggiose, eclettiche, fantasiose, eleganti, pulite, intelligenti e scelga lei altri aggettivi...».
Lei però è stato anche un precursore della narrazione lgbt con volti come Costantino della Gherardesca, Gennaro Cosmo Parlato, Drusilla e altri... Le due cose si conciliano?
«Dimentica Malgioglio che era stato cacciato dalla televisione ed è ripartito con me con Supermarket, per poi passare ad altri, compreso La Repubblica delle donne. Da lì in avanti Malgioglio non ce lo toglie più nessuno. È come una vitamina che si prende più volte al giorno. Io sono sempre stato dalla parte di quelli che non si vedevano in tv. Scrivo anche questo programma con la stessa ottica. Fare meglio quello che si fa e portare in televisione quello che non si deve fare, sformando... Cercando comunque di fare un programma dignitoso, di cui non vergognarsi. Poi se uno non ama, cambia canale...».
Ultimissima. Bruno Vespa privato del confronto Meloni-Schlein ha detto: si è persa l’occasione di vedere un faccia a faccia tra due donne. Ha pensato a un confronto tra le due leader in un suo programma?
«E chi l’avrebbe mai rifiutato! Purtroppo non possiamo parlare di politica perché non siamo un programma giornalistico e siamo nella par condicio più rigorosa. Detto ciò, donne come Meloni-Schlein dovrebbero essere sempre nel nostro programma non solo come donne sull’orlo di una crisi di nervi ma come donne che le crisi vorrebbero risolverle».