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Patrick Zaki esalta l'Egitto che lo ha incarcerato e torturato

Alessandro Gonzato
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È capace di fare i salti immortali. Ora Patrick Zaki esalta l’Egitto. Sì, lo stesso Zaki bendato, torturato – così ha sempre denunciato – condannato e incarcerato dallo Stato nordafricano, lo Zaki che tuonava contro il regime di al-Sisi adesso lo elogia «per la sua intenzione di intervenire a sostegno della causa del Sudafrica contro Israele davanti alla Corte internazionale di giustizia per il crimine di genocidio». Ha scritto così, su “X” – l’ex Twitter – l’attivista icona del Partito democratico e della stampa affine. Che fuoriclasse, l’arruffatissimo Patrick: pensavamo che avesse dato il meglio lo scorso ottobre quando alla presentazione del suo libro, al Teatro Parenti di Milano, aveva ringraziato il dem Pierfrancesco Majorino per la liberazione - «Thanks, my friend Pierfrancesco...» - un grazie al consigliere regionale della Lombardia Majorino con annessa foto celebrativa della serata e neanche una parola per la Meloni e quei razzistacci del governo. E invece, meglio di un dribbling di Mohamed Salah, l’egiziano si è superato un’altra volta. Questo è talento cristallino. E adesso dateglielo, lo merita anche lui il Pallone d’Oro africano.

SPERNACCHIAMENTI
Zaki che celebra l’Egitto è come Giggino Di Maio che loda il congiuntivo, la Schlein per la quale Mussolini ha fatto anche cose buone, il mitologico Soumahoro che difende i lavoratori sfruttati. Ah no, questo succede sul serio. «Ti ricordo», gli ha risposto un utente su “X” – a Zaki, non a Soumahoro – «che appena hai messo piede in Egitto ti hanno arrestato, hai detto che ti hanno torturato, ti sei fatto un anno e mezzo di carcere lì, abbiamo dovuto spendere soldi pubblici... E proprio tu ci parli del governo egiziano che peraltro alza muri sempre più alti per evitare l’ingresso dei palestinesi». Ci sono decine di commenti di questo tenore, e qualcuno, dalle critiche – sbagliando – è andato oltre. Non si fa, signori, soprattutto con chi eccelle.

 


Ma, un secondo, ci assale un dubbio: non è che Zaki sia vittima della sindrome di Stoccolma, innamorato dei propri carcerieri? In tal caso chiediamo scusa. L’anno scorso, cinquant’anni dopo la classificazione della malattia, la criminologa Micol Trombetta ha spiegato all’agenzia Agi che si tratta di una dinamica più frequente di quanto crediamo. Molti studiosi sostengono che la sindrome riguardi circa il dieci per cento delle persone sequestrate, e dunque non è una possibilità così remota. Chissà. La cosa certa è che da quando è tornato in Italia grazie all’intervento del governo «delle destre» l’attivista è diventato il megafono della propaganda anti-occidentale. Zaki non ce la fa proprio a pronunciare le parole «Hamas» e «terrorismo» nella stessa frase: ci ha provato, balbettando come Arthur Fonzarelli quando doveva chiedere scusa, «Sc...», «Sc...», ma la natura è più forte. Zaki non indossa il giubbotto di pelle, porta la kefiah.

 

 

PASDARAN
Scorrendo i suoi profili social è tutto un incitamento alle chiassate pro-Palestina: ha appena rilanciato un servizio del Tg3 sulle proteste contro Israele nelle Università italiane; un’ora fa ha accusato Gerusalemme di affamare la popolazione palestinese; prima ancora ha rilanciato un post in cui si grida al «genocidio nella Striscia di Gaza»; ha rilanciato pure il filmato in cui Greta Thunberg messe da parte (forse) le cause ambientaliste dopo le molteplici pernacchie ricevute si è data all’insulto a Netanyahu. L’altro giorno Zaki è tornato in mezzo agli studenti di Bologna, dove ha studiato e adesso un giorno sì e l’altro pure si grida contro l’occidente. «Voi avete il ruolo importante di diffondere notizie sul genocidio in atto... Possiamo fare un vero cambiamento, bisogna fermarlo questo genocidio», ha ripetuto lo Zaki. Che ha aggiunto: «Non ho evidenze per giudicare che Hamas sia terrorista. Lasciatemi entrare a Gaza per un’inchiesta e lo potrò dire». Dopo il Pallone d’Oro Zaki vuole vincere anche il Premio Pulitzer. Altro che i reportage di Di Battista dal Sudamerica...

 

 

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