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Antonio Scurati, un disco rotto: "Svolta illiberale"

Antonio Scurati

Daniele Dell'Orco
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Sarebbe curioso capire chi abbia copiato chi. Ma è un dato che le retoriche di Antonio Scurati e Roberto Saviano siano ormai magicamente sovrapponibili. Entrambi amanti solo dei monologhi, entrambi impegnati in una lotta senza quartiere contro il governo a fronte di lauti cachet, entrambi teorici di una presunta «svolta illiberale» in corso in Italia. Lo ha detto ieri Scurati, che al Salone del Libro di Torino ha ripetuto pari pari il canovaccio dell’intervista concessa a Repubblica giorni fa, per la gioia delle circa 300 persone rimaste fuori dalla Sala Rossa in cui si è esibito che, quindi, non si sono poi perse granché. E di «svolta illiberale» aveva parlato anche Saviano tre giorni fa quando presentava Salman Rushdie.

«LIBERO PENSATORE»
A Scurati che invece vuole insegnare la democrazia senza contraddittorio, ora disturba anche la satira, come quella che targata Atreju, il “brand” della mega-kermesse di Fratelli d’Italia, ha utilizzato per diffondere in chiave elettorale manifesti che si fanno beffe dei piagnistei della sinistra: «Non c’è dubbio alcuno che stiano individuando dei nemici. Anche se nascosto dietro l’ironia o il sarcasmo, che in realtà è molto più sottile e sofisticato di questo, quando invochi il loro pianto sono dei nemici».

Poi Scurati si definisce «libero pensatore», talmente libero da essere parte integrante di una sovrastruttura culturale che in questo Paese è stata ed è ancora egemone, e che i veri liberi pensatori li ghettizza da decenni. Infine, la savianata totale: «Non facciamo casi personali, per favore. Io non ne posso più di vedere la mia faccia. Non mi sopporto più io, pensate gli altri. Non dobbiamo personalizzare. È un processo storico, una dinamica sociale.

 

Personalizzare significa fare un danno alla democrazia». Tutto questo dopo settimane passate a cavalcare la polemica totalmente insensata e strumentale sul suo PISTA 500 Certo, dallo scrittore napoletano stanno provando ad imparare in molti, ma l’originale resta inimitabile. Saviano, anche ieri al Salone, stavolta nella straordinaria cornice della “pista 500”, quella che la Fiat usava per i test-drive sul tetto del Lingotto (del resto al fascino della vista dall’alto non sa rinunciare), ha addirittura maledetto Gomorra, il romanzo che lo ha reso noto in tutto il mondo: «Non lo tengo nenache in casa. Mi ha distrutto la vita», dice, paradossalmente dove? In una presentazione dello stesso Gomorra in versione audiolibro che proprio Saviano ci ha fatto il dono di leggere.

«Dovevo farlo con più prudenza», aggiunge poi. «Potevo farlo dando meno spazio all’aspetto d’inchiesta, ma più a quello letterario, culturale». Modestia? Macché, perché subito dopo di fatto rafforza la veste del suo lavoro in barba alle tantissime critiche mosse ancora oggi dai napoletani stessi: «Tutti quelli che mi hanno accusato di aver diffamato la città hanno oggi la prova di aver detto una cazzata. Oggi è la città con più B&B in Italia, più di Venezia. Questo significa che se io la avessi davvero diffamata da Napoli le persone scapperebbero o sarebbero diffidenti e invece c’è la corsa a viverci. Questo perchè? Perché quando tu accendi una luce di comprensione non devi mai temere di mostrare l’orrore, la ferita, la contraddizione. Ciò che si apre alla comprensione attrae».

Chi lo critica, quindi, è limitato e non ha capito. Proprio il leitmotiv preferito della sinistra “chiagni e fotti”.

 

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