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Stefano Massini, lo sfascista diventato capopopolo: chi è la nuova stella a sinistra

Luca Beatrice
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Essere belli non è tutto ma aiuta, anzi aiuta molto e Stefano Massini lo sa. Sa di essere un piacione, amiche interpellate dicono addirittura un gran figo, vieppiù in quel bestiario di sinistra composto dai vari Zoro, Saviano, Scurati che non sono esattamente dei sex symbol. Lui invece è perfetto, le donne impazziscono per lui e gli uomini con una punta di malcelata invidia sono costretti ad ammettere che sì il Massini è proprio un figo.

L’età è quella giusta, 48 anni, quando si compie la definitiva maturazione, sei grande, saggio ma ancora giovane, beato te. Suo punto forte sono gli occhi azzurri che stanno benissimo con il grigio brizzolato dei capelli corti e degli abiti alla moda, anche questi grigi, portati con estrema nonchalance. Fedele a uno stile bobo, Massini predilige la t-shirt sotto la giacca, oppure la camicia strizzata che ne evidenzia il fisico allenato, non vorrei sbagliare ma di recente un po’ di pancetta è venuta pure a lui. Irrinunciabili le sneakers, sono comode e stilose, e gli anelli, dettagli condivisi con Corrado Formigli, il conduttore di Piazzapulita, dove lui è ospite fisso in qualità di monologante.

 

 

 

Questa del monologo, peraltro, è arte che deriva dalla comicità. Massini lo usa in quanto non prevede dialogo visto che non gli interessa confrontarsi con l’opinione altrui. Soliloquio adattato agli aspetti più tragici dell’esistenza, ne ricordo uno in cui estasiata e complice la segretaria del Pd Elly Schlein se lo mangiava con gli occhi, mamma mia quanto è bono questo, da rivedere alcune cose insomma. In tre minuti Massini ti parla di guerra, morti bianche, lavoro che non c’è, ingiustizie che si consumano ai danni dei più deboli. Rammenta come da piccolo gli sembrava strano il detto “auguri e figli maschi” il giovane Stefano invece di giocare a pallone già rifletteva sulle ingiustizie ogni tanto gli scappa qualche effetto di carmelobenismo, la voce si fa acuta, accelera il ritmo, eppure il pathos gli fa difetto, tanto sai benissimo che ti racconterà una storia di sfiga o dolore, a lui le cose belle non interessano e comunque ormai deve recitare la parte tragica, non possiamo certo aspettarci che un giorno se ne venga fuori con un episodio edificante, il lieto fine non gli appartiene anzi lo rifugge per partito preso.

E pensare che vive in una delle più belle città del mondo, Firenze; potrebbe tranquillamente godere dell’arte, potrebbe alzarsi e portare la fidanzata a far colazione al riparo da sguardi indiscreti e dai turisti, e invece no, la sua mente si arrovella alla ricerca settimanale di ingiustizie, cattiverie, soprusi di cui è pieno il mondo, il suo pensiero corre in Ucraina, a Gaza, pensando alla maschera tragica da indossare in tv. Il problema è che se il tuo racconto sul mondo è così intriso nella negatività, il sospetto è di star recitando una parte alquanto insincera. Ogni attore si specializza in un ruolo e Stefano Massini il teatro lo conosce bene, resta il suo terreno d’elezione nonostante si sia provato in altri ambiti, la letteratura, il giornalismo, la tv. Il teatro è bello perché finzione, menzogna, lo diceva Pirandello mica io.

Sul suo instagram si autodefinisce narratore, termine più in voga del generico scrittore nel nostro tempo in cui tutto è narrazione: come ti confezionano la pasta al supermercato, un semplice comunicato stampa, persino gli articoli di giornale non informano più ma narrano, siamo tutti allievi dei Fratelli Grimm. Narratore, dunque. Di una nuova vita agra ma senza l’ironia pungente e anarchica del grossetano Luciano Bianciardi, il Massini non ha resistito anche lui a cavalcare l’onda del dualismo fascismo/antifascismo di giornata, mancando però di originalità e arrivandoci oggettivamente da buon ultimo che onestamente non è da lui, lui che sui giornali ci ha parlato di parole in disuso, di giovani scrittori esordienti, cose interessanti ma di scarsa popolarità. Ben altra audience fa il gigionismo, autonominarsi guida spirituale per i giovani che non hanno memoria dei tempi andati e meno male che c’è anche lui apposta per questo, per ricordare, per tenerci sull’avviso del pericolo che stiamo correndo.

Sotto il diluvio del Primo Maggio Massini è salito sul palco più rosso d’Italia, sempre in grigio che gli dona, protetto da una coppoletta causa freddo autunnale. Come abbia chiosato la sua esibizione insieme a Paolo Jannacci lo sanno tutti. Dopo aver ripetuto sei o sette volte il pronome personale io, giusto per tranquillizzare il proprio Ego, ha puntualizzato «io sono antisfascita» perché antifascista non lo puoi dire sennò la Digos ti identifica. «E allora identificateli tutti», ha urlato da comiziante. La folla, stremata dalla pioggia e dalla pessima scaletta, ha così esaltato l’ennesimo intellettuale autoproclamatosi capopopolo. E la noia, la noia, la noia, avrebbe detto Vasco. Ma onestamente credete che alla Digos freghi qualcosa di Massini, dei suoi compagni di cordata, dei martiri senza martirio, delle vittime da salotto, di chi ti vuol convincere che la vita è una schifezza e che neppure lui, Stefano Massini, riuscirà a salvarti?

 

 

 

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