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Caso Scurati, i libri su Mussolini? Una raccolta di svarioni

Antonio Scurati

Marco Patriccelli
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Su Mussolini secondo Antonio Scurati ha già scritto tutto Ernesto Galli della Loggia nel 2018, quando recensì il primo ponderoso volume della trilogia su “M - Il figlio del secolo", di cui colse con competenza imprecisioni, errori, disinvolture e licenze, con la sottolineatura che la letteratura e la storia corrono su binari diversi e quando si intersecano la narrativa deve dare la precedenza alla saggistica. Soprattutto se si introduce trionfalmente un lavoro esaltando ricerca indefessa e documentazione ponderosa: «Mi sono assegnato un criterio rigidissimo».

Il formidabile successo editoriale proiettò comunque Scurati nell’empireo dei campioni dell’antifascismo militante, divenuto una specie di categoria professionale nobilitante odi specialistica qualificante. Non è un caso che Ilaria Salis sia definita dal popolo dei suoi tifosi adoranti e osannanti “insegnante antifascista”. Nel ruolo, o forse per transfert tra autore e personaggio che ne domina la produzione, si deve essere calato anche Scurati, che da “M” atto primo dispensa certezze granitiche soprattutto in tv con la caratteristica aura professorale travasata anche nel monologo commissionato/ospitato dalla trasmissione Rai “Che sarà”, maldestramente rispedito al mittente scatenando il caso e il caos. Anche qui deve essersi verosimilmente «assegnato un criterio rigidissimo».

 

 

CORO GRECO-SINISTRO - Dopo una premessa abbastanza banale sull’omicidio Matteotti del 1924 e le stragi nazifasciste del 1944, tutti elementi storicizzati e inappellabili, ecco il nocciolo duro della tirata antigovernativa e il dito puntato sulla premier, con la stucchevole consueta richiesta di abiura e della pronuncia pubblica della parola “antifascismo”, come pretende il Gran Sacerdote della biografia mussoliniana.

Giorgia Meloni ha risposto pubblicando sul suo sito il testo che aveva lei nel mirino, ma mica è bastato per inceppare il meccanismo a orologeria del coro greco-sinistro che ha subito intonato profondi lai sulla libertà di espressione, sulla censura, sul regime, sull’attentato alla Costituzione evocato dai solisti partigiani dell’Anpi, con lo stesso Scurati impegnato ad affermare urbi et orbi di essere vittima di una violenza verbale addirittura senza pari. Il sindacato Rai, naturalmente, ha espresso una vibrante protesta pubblica con tanto di pacchetto di cinque giorni di sciopero a corredo. Poche idee ma confuse, direbbe Ennio Flaiano.

Il monologo, per definizione, è un testo rilevante che esprime un pensiero, solitamente informato e formato, oltre che riconosciuto come qualificato. Ma se la Rai voleva un monologo storico, allora si sarebbe potuta rivolgere a Galli Della Loggia, o ancora a Emilio Gentile, massimo saggista italiano sul fascismo; se voleva un testo politico, bastava cambiare tribuna, optando per un salotto da talk show; se invece il nodo gordiano era letterario, allora Scurati avrebbe potuto tranquillamente risolvere la commistione di ruoli (autore, storico, militante, opinionista, personaggio pubblico), virando verso il romanziere storico di successo, che è poi il suo. Ma il romanzo storico, che inserisce un elemento di finzione in un quadro reale, deve attenersi al rispetto di quel quadro: autori di calibro internazionale come Ben Pastor, che si divide tra la figura dell’ufficiale della Wehrmacht Martin Bora e l’investigatore ante litteram dell’antica Roma Elio Sparziano, è di un rigore assoluto in ogni addentellato storico.

Maurizio Molinari su Repubblica nel suo editoriale ha esaltato la «ricostruzione dell’assassinio di Giacomo Matteotti (...) e della strage delle Fosse Ardeatine (...) da parte dei nazifascisti», quando nel monologo non c’è nessuna ricostruzione; il controcanto di Concita De Gregorio era sul pericolo di «assuefazione», addirittura definita omeopatica: «Come bersaglio uno Scurati oggi, un giornale ieri, una conduttrice tv domani». Insomma, dal pistolotto alla pistola puntata. L’importante è perpetuare l’Ur-fascismo di Umberto Eco, quello polimorfico e subdolamente nascosto che si manifesterebbe sempre e comunque, non importa con quali vesti. E quali colori.

L’importante è battere sempre sullo stesso tasto, senza magari sapere che questa è una delle colonne di persuasione e di plagio dell’opinione pubblica del ministro della propaganda Joseph Goebbels: «Ripetete mille volte una bugia e diventerà la verità». E dàgli allora alla richiesta ossessiva dell’abiura (che però, stando alla Treccani, deve essere «libera»), agli esami ex cathedra e al rilascio della licenza di antifascista, non si sa a che titolo dispensata da chi. Ancora Flaiano, che aveva capito tutto prima di tutti, metteva in guardia dai di tipi di fascismo in auge in Italia: quello propriamente detto e l’antifascismo. Che ha bisogno tanto di fantasmi quanto di figure da beatificare nel martirologio ma senza martirio: basta l’aura.

 

 

NUOVI EROI - Anche Galli della Loggia nel 2018 aveva capito tutto prima di tutti, nella recensione-stroncatura di “M”, rifacendosi alle parole di Scurati, il quale sosteneva che «l’antifascismo non regge più ai tempi nuovi (...) va ripensato su nuove basi (...) e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo». Lo storico chiosava così: «Se il nuovo antifascismo è questo qui, allora davvero si è tentati di dire – e se lo dice uno come me può crederci – “Ridateci quello di prima!”». Invece i nuovi eroi della sinistra, figurine dell’album della contrapposizione politica, forse inconsapevolmente danno ragione a Bertolt Brecht, che di regimi, censure e ideologie, se ne intendeva: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», e lo scrisse nella “Vita di Galileo”, che venne davvero costretto ad abiurare.

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