Chiara Ferragni? Si sgonfia l'economia della panna montata
L’altro giorno ero nelle Marche, una delle regioni più belle e produttive d’Italia: quanto Made in Italy fiorisce dai capannoni e dalle fabbriche di questo pezzo di terra dove la cultura abbraccia Raffaello e Rossini, Federico II di Svevia (nativo di Jesi) e Leopardi, tanto per dire, e dove il Rinascimento rilascia ancora odori di storia. Ero nelle Marche a presentare il mio libro Moderno sarà lei e incontrare imprenditori e professionisti.
Lo facevo mentre Chiara Ferragni tentava di mettere una toppa a una colossale figuraccia, usando le “sue” telecamere per rispondere al terremoto che il “suo” ecosistema social stava generando: follower in uscita, polemiche e critiche sulle sue pagine, riflettori che proiettano ombre e non luci. Chiara e Fedez come una coppia di wrestler che si dà cambi veloci per cercare di atterrare chi stavolta non si accontenta delle solite storie e delle solite finte risse. Chiede perdono, Chiaretta: ha commesso un errore di comunicazione e di sottovalutazione.
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Che detta così parrebbe una cosa da niente, se non fosse che per farsi perdonare la “disattenzione” ella stacca un assegno da un milione. Un milione di euro come risarcimento di un danno autocertificato. Quindi, la multa dell’Authority e poi la donazione risarcitoria. Un milione in beneficenza per ripulirsi la faccia, il nome, l’immagine, cioè la ditta.
«Ma che lavoro fa ’sta Ferragni?», mi domandano gli imprenditori delle Marche, gente che quando sente parlare di aziende e di profitti pensa a Tod’s, a Indesit, ad Ariston, alla iGuzzini illuminazione, alle cartiere, alle poltrone Frau, all’abbigliamento dei Lardini, Paoloni, ai jeans della Re-Hash, al software della TeamSystem; pensa alla filiera agricola o all’artigianato d’eccellenza.
A Porto San Giorgio Gianni Conte, partendo dalla sua disavventura che lo ha portato sulla sedia rotelle, ha tirato fuori dei supporti per motorizzare le carrozzine così da dare più autonomia di movimento ai disabili. Gli imprenditori nelle Marche fanno. «Che fa ‘sta Ferragni per mettere sull’unghia un milione e riparare a un errore?». Fa video, vede gente, scatta foto: fa l’influencer. «Ah...».
Spiegare a questa gente la ditta Ferragni, quale sia il motivo di tanto guadagno, non è facile: dietro una scarpa, una cucina, un elettrodomestico, un vestito, c’è un mondo che produce, che fa. Non che chiacchiera. Eppure adesso il mondo gira così. E forse è per questo che non si trovano lavoratori, soprattutto tra i giovani. Perché faticare, quando basta capitalizzare i propri follower? È chiaro che non tutti sono i Ferragnez, ma se sbirci nel mondo di Instagram odi TikTok appare questo.
Ora però la signora Ferragni dovrà fare i conti con la panna montata che questa economia gonfiata genera, nella speranza che non sia andata a male. Non so se le voci sulla beneficenza di vanità siano vere o no, quel che però sarebbe ora di sapere è se chi promuove vale più del prodotto stesso e se chi promuove ha lo stesso controllo fiscale di chi produce. Perché qui non si capisce più nulla.