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Giulia Cecchettin, Paolo Crepet e la lezione alla femministe: "Come si parla di queste violenze"

Claudia Osmetti
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«Io ragiono da persona libera e mi dà un po’ fastidio quest’idea che qualsiasi cosa venga presa a pretesto per fare della tifoseria da stadio. Milan contro Inter. No, non funziona così». Paolo Crepet, psichiatra, sociologo, saggista, opinionista, uno che si è occupato, tanto per citare alcuni esempi, dei casi di Cogne, di Avetrana e di Novi Ligure, non ci gira attorno. Va dritto al punto: «Ho le mie idee, come tutti. Ma non portiamo il ragionamento un passo avanti neanche per sbaglio».

 



 

Dottor Crepet, eppure in questi giorni, con la tragica morte di Giulia Cecchettin, si sente parlare spesso di “patriarcato” come se fosse nato adesso. È così?
«Per carità. Padre Padrone è un romanzo strepitoso di Gavino Ledda, è stato scritto nel 1975, non oggi».

E anche un bellissimo film dei fratelli Taviani di pochi anni dopo...
«Appunto. Guardi, Il patriarcato esiste e non è un’invenzione recente, ma non è vero che i maschi siano tutti patriarchi. Cosa facciamo, la conta dei patriarchi? Dài, è ridicolo. Io ho visto altri tipi di figure, se proprio vogliamo parlare dei padri».

 



Per esempio?
«I padri assenti, che patriarchi non lo sono. Non fanno male a una mosca, ma non ci sono. Si fanno un po’ gli affari loro. In una certa misura sono anche stati portati a farlo, per il lavoro. Se proprio c’è stato un problema, ma non generalizziamo che è sbagliato, è nella non -presenza».

Che ricadute ha portato?
«Si fermi un attimo, il discorso è complesso. La mia generazione è figlia di padri molto assenti, sarà toccato al 90% delle famiglie di avere un padre che durante la settimana non c’era. Poi magari, però, recuperava la domenica. Quindi cosa vuol dire?
Non è detto».

Insomma, ogni vicenda è a sé?
«Certo. Non è che se tuo padre supera i quattro giorni di assenza diventi eroinomane. Ci sono figli e figlie di padri abbastanza assenti che invece hanno la capacità di essere magnifici durante la loro breve presenza. Ma chi l’ha detto che un padre assente debba essere a priori un maledetto? E lo stesso discorso vale per le madri».

Chiaramente. Però è indubbio che ci siano stati casi di sopraffazione e violenza...
«La interrompo. Stiamo dicendo che ci sono stati padri violenti? Ha ragione, è vero, sì. Ma questa cosa di tirare la riga e dire “siete tutti così e noi siamo tutte colà” francamente mi sembra un eccesso di semplicismo. Ci sono anche delle madri molto violente. La lista è lunga. Allora che differenza c’è tra uomo e donna? Perché se è genetica mi vengono i brividi a pensare che ci sia una genetica buona solo femminile e una genetica cattiva solo maschile: mi pare esagerato e mi sembra anche un ragionamento che si basa sul nulla se non con la rabbia. Ci sono stati anche tanti padri che sono stati neutralizzati nel loro ruolo, se vogliamo raccontarcela tutta.
Guardi, il patriarcato era una roba da maso chiuso delle valli del Tirolo dove ereditava solo il maschio. Se esiste ancora è patetico».

Messa in questi termini è anche illegale...
«Tra l’altro. Ecco, io non ci costruirei su un ragionamento. L’idea che questa tragedia di Giulia Cecchettin sia accaduta per una relazione di causa ed effetto, in psicologia, è una bestemmia. Al contrario attiene a 10mila fattori. Lo sa cosa ci aiuta a non fare, però?».

Cosa?
«Ci aiuta a non fare quell’altra speculazione psicologica per cui la violenza nasce in chissà quale rione periferico abbandonato e magari del Meridione: ma chi l’ha detto? È successo nel prosperoso e avanzato Nord Est. Ce l’aveva detto Pasolini cinquant’anni fa col Circeo. Non l’abbiamo ascoltato e adesso ci risiamo, un’altra volta. Perché le cose non sono cambiate. Queste generazioni, poi, sono cresciute senza avere idea di cosa sia la frustrazione».

In che senso?
«Vale in entrambi i casi. Da un lato c’è un ragazzo che non riesce a gestire un abbandono e dall’altra parte c’è una ragazza che ha subito la perdita della madre e non riesce a gestire la sua assenza, per cui si ributta in quel sentimento. Non ce la fa a dire di no».

Oggi ci sono le proteste di piazza con i cartelloni «se domani non torno brucia tutto», che riprendono le parole dell’attivista peruviana Cristina Torres-Cáceres: che ne pensa?
«Vedo tanta aggressività. Un po’ la capisco per chi è stato toccato direttamente da questa tragedia. Ma il coro molto al femminile che arriva a dire “distruggi ogni cosa”... A parte che quel testo è stato scritto in Sud America e andrebbe contestualizzato, perché lo scenario lì era diverso. Però, soprattutto, rilevo quest’aggressività. Se vuoi parlare della violenza fallo in maniera non violenta, sennò non sei credibile. Se mi parli violenza ipotizzando di spaccarmi la faccia, sei violenta anche tu. Alle ragazze direi: “Andateci piano”».

E al padre di Filippo Turetta che dice: “Quasi preferivo che finisse in un altro modo?”.
«Non voglio commentare. Ognuno reagisce a modo suo di fronte a una tragedia del genere. È un dramma che si porterà addosso finché campa. Qualsiasi cosa dice l’ascolto e la rispetto».

 

 

 

 

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