Halloween, il film che ha reinventato l'horror
Quarantacinque anni fa usciva la pellicola di Carpenter che introdusse il genere "slasher", sangue, ragazzotti e serial killer
L’incubo peggiore del mondo è avere un serial killer dietro la porta di casa, un mistero irrisolto e una costellazione di cadaveri –rigorosamente giovani- che ti guidi verso l’inferno.
È questo lo spirito che assalì spettatori, produttori e critici cinematografici alla visione –esattamente 45 anni fa- di Halloween, la notte delle streghe, il capolavoro di John Carpenter che rivoluzionò la storia dell’horror moderno. La ricorrenza del film sta ancora attraversando gli Stati Uniti, riproposto nelle sale cinematografiche, dopo aver titillato la paure di un paio di generazioni. La sua interprete, l’allora esordiente oggi premio Oscar Jamie Lee Curtis rievoca su Instagram: «Quarantacinque anni fa oggi usciva Halloween, un film horror senza budget, girato in 17 giorni e ambientato a Haddonfield, Illinois, dove una giovane babysitter, Laurie Strode, incontra l’uomo che terrorizza la sua intera comunità...». E da lì, dalle nebbie della memoria, emerge prepotente la storia di Michael Myers, serial killer già a sei anni che divenne la personificazione di un male inedito, più illogico, ancestrale, portatore di una follia diversa, rispetto alle devastazioni vissute nella guerra del Vietnam.
NELLA CASA DELL’ASSASSINO Nella casa dell’assassino con maschera oscura (era in realtà quella scalcagnata e verniciata di bianco del capitano Kirk di Star Trek), che massacrava chiunque gli capitasse sotto il coltellaccio da cucina, si aggirava anche il caos.
Era l’elemento del male assoluto, «quello che distrugge rapporti familiari, che deforma il sesso come fonte di morte, la gioventù come vittima di una follia oltre la logicità fondata sulla causalità. L’America vive nella paura di un male demoniaco, che si nutre dei corpi di giovani donne, si aggira sulle gambe di un uomo che indossa una rudimentale maschera per coprire la propria vera natura, connessa alla crudeltà più irrazionale. Chi lo sa dove quanti ce ne sono lì fuori a spiarci?», scriveva a commento, la rivista Wired richiamando, giustamente, nel capolavoro del regista Carpenter i mondi incrociati dei di lui maestri da Alfred Hitchcock a Howard Hughes a John Ford.
A quel tempo, nel ’78, nell’America delle speranze a dell’ottimismo di Rocky Balboa, gli ammazzamenti di Halloween furono un naturale contraltare: titillarono l’anima selvaggiamente violenta dell’America. Secondo alcuni la pellicola si segnalò come una sorta di spartiacque della società occidentale. Quel film scorse su due diversi piani di lettura. Il primo era quello del fenomeno di costume. Dal quale si ricavano, col senno di poi, perle d’aneddotica. Tipo che il budget del film fosse inizialmente di 320.000 dollari, e all’epoca si portò a casa 47 milioni di dollari negli Usa, divenendo la pellicola indipendente più redditizia di sempre. O che la magnifica colonna sonora era stata composta da Carpenter stesso, ma nei credits appare come opera della Bowling Green Philharmonic Orchestra (il regista è cresciuto a Bowling Green, nel Kentucky). O che, poco dopo aver accettato la parte, il protagonista Donald Pleasence disse al regista: «Non capisco il copione e non mi piace.. L’unica ragione per cui ho accettato è perché il tuo primo film è piaciuto molto a mia figlia».
Cose così.
Altro piano di lettura, invece, era quello della vera e propria creazione di un genere: lo “slasher”. Ossia di quel tipo di film horror in cui l'antagonista principale è un «maniaco omicida (spesso mascherato) che dà la caccia a un gruppo di persone (spesso giovani) in uno spazio più o meno delimitato, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento». Bene.
Halloween conta pure una serie infinita di sequel e remake; l’ultimo è Halloween End di Gordon Greeen del 2022. E slasher movie post-Halloween sono unanimemente considerati Scream, Nightmare, la saga infinita di Venerdì 13, La casa. Il loro successo si perpetua grazie alle blandizie orrorifiche di una sceneggiatura che è sempre la stessa: stessa tensione, stessi caratteri di recitazione, stesse location che siano un collegio, un campeggio, una scuola, un ospedale. Gli snodi cardine degli slasher sono: a) una sorta di avvertimento iniziale ignorato dai protagonisti rigorosamente gruppo di adolescenti/ventenni; b) l’ambientazione isolata e omicidi a raffica (di solito iniziano dalla bellona del gruppo che se la fa col capitano della squadra di football); c) il killer mascherato, appunto, e con un’arma distinta (Leatherface e la sua motosega); d) l’arrivo della final girl, la ragazza finale, di solito secchiona e anonima se non addirittura racchia, unica sopravvissuta al folle assassino. Qualche volta, la variazione sul tema è un suo amico, impavido, persona perbene, che la aiuta ad ammazzare il cattivo, sopravvivendo egli stesso. Poi c’era questa cosa del sesso che innervava la trama anche a livello subliminale.«Nel film slasher la scoperta conflittuale del sesso, caratteristica di molti adolescenti, trovava una perfetta catarsi: i giovani, incuriositi e desiderosi di praticare sesso, sono puniti con la morte da parte del maniaco, che incarna tutti quei tabù e convenzioni sociali puritane che qualificano il sesso come una cosa “sporca e immorale”», scriveva la critica, riportata anche da Wikipedia nella corposa voce omonima.
LA TENSIONE SESSUALE «Nel finale, tuttavia, il mostro/maniaco muore quasi sempre, simboleggiando la vittoria della nuova “way of life” affermatasi negli anni 70, più libertaria e tollerante. D’altro canto, questo accanimento contro il sesso ha fatto etichettare lo slasher come “genere più puritano dell’horror”, con conseguenti sospetti di sessuofobia. Sesso e morte, sangue a catini e spietatezza. Il “giorno dei santi” riciclato in un perenne giorno dei morti...