Landini, che imbarazzo: ecco il "gruppo vacanze" della Cgil negli Usa
Per Joe Biden sono guai. Mentre continua a rivolgere l’attenzione alla crisi in Medio Oriente non ha probabilmente avuto il tempo di accorgersi che una ben più grave minaccia si sta per abbattere sugli Stati Uniti. Un drappello di cazzutissimi sindacalisti della Fiom, incuranti degli sforzi già profusi nella cruciale marcia per la Costituzione che sabato scorso ha assestato un colpo micidiale al governo delle destre, è pronto a scendere in campo al fianco dell’United Auto Worker per dare una svolta allo storico sciopero in atto da tre settimane negli stabilimenti americani di GM, Ford e Stellantis. Una mossa che potrebbe mettere in ginocchio le big trhee dell’auto e creare seri problemi alla Casa Bianca. La delegazione dei metalmeccanici della Cgil è composta da Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil, Marcello Scipioni, responsabile Ufficio internazionale, Gianni Mannori, responsabile Stellantis Mirafiori per la Fiom-Cgil di Torino e Andrea Di Traglia, Rsa della Fiom-Cgil dello stabilimento Stellantis di Cassino.
PRODI INVIATI
I quattro prodi sindacalisti che si sono messi in viaggio ieri alle 11 verso Detroit (in Michigan) hanno un piano di intervento che non ammette sbavature. Non lasciatevi ingannare dalle facce allegre e un po’ spensierate che compaiono nella foto ricordo postata sul sito del sindacato (www.fiom-cgil.it/net/comunicazione/ufficio-stampa/10614-stellantis-delegazione-fi om-guidata-da-michele-de-palma-in-viaggio-per-detroit). La missione è ardua e il programma è serrato. Oggi sveglia presto. Colazione libera, a spese dei lavoratori, ovviamente, che con le loro trattenute sindacali hanno anche finanziato la costosa trasferta. Poi si comincia subito con il sostegno al picchetto davanti allo stabilimento di assemblaggio di Stellantis a Toledo, nel vicino Ohio. Pranzo al sacco insieme agli operaie poi il rientro a Detroit. Serata libera. L’indomani si riparte, senza sosta.
I rappresentanti della Fiom si uniranno ai lavoratori in sciopero allo stabilimento Ford del Michigan, a Wayne. A seguire, giusto il tempo di bere un sorso d’acqua, ci sarà la visita alla Solidarity House, sede dell’Uaw, dove potrebbe esserci l’incontro con il mitologico presidente Shawn Fain, ideatore della protesta multipla lanciata a metà settembre. Due chiacchiere, qualche pacca sulla spalla e via verso lo stabilimento di General Motors a Ypsilanti, sempre nel Michigan, dove la delegazione nel pomeriggio offrirà supporto alla protesta. Serata libera. Per l’ultima tappa, prevista per sabato, si torna da Stellantis, questa volta a Romulus, sempre in Michigan, dove si trova il centro di distribuzione dei pezzi di ricambio Mopar. Anche qui il quartetto parteciperà al picchetto dei lavoratori. Poi, finalmente, il rientro in Italia, per raccogliere il meritato plauso da parte degli operai italiani che sono rimasti a spaccarsi la schiena negli impianti nostrani, con la paura di finire in cassa integrazione da un giorno all’altro a causa del progressivo smantellamento della produzione di Stellantis in Italia. Dal 19 ottobre al 3 novembre, ad esempio, scatterà la cig a Mirafiori per circa 2.500 lavoratori addetti alla produzione dei modelli Maserati e 500 elettrica. Ad agosto era toccato agli operai di Melfi e ancora prima a quelli di Pomigliano d’Arco, seppure per la grande ondata di caldo.
I NUMERI
Ma i numeri parlano chiaro: nei primi nove mesi dell’anni Stallentis in Italia ha registrato un calo complessivo della produzione rispetto ai livelli prepandemia del 10%, con picchi del 30% a Melfi e del 24% ad Atessa. Il piano a cui sta lavorando il governo per riportare il numero di auto sfornate dagli stabilimenti italiani ad un milione di unità non vede passi avanti e si intensificano invece le voci di un progressivo spostamento del baricentro del gruppo in Francia e in fabbriche situate all’estero.
C’era proprio bisogno della vacanza premio a Detroit per i quattro baldanzosi delegati del sindacato rosso? Anche perché gli Usa non sono l’Italia. Qui Maurizio Landini si muove con disinvoltura dai salotti buoni alle manifestazioni di piazza, proclamando e minacciando scioperi a ripetizione, talvolta preventivi, solo per smuovere un po’ le acque. In America, tanto per dire, erano 88 anni che non si faceva una protesta di questo tipo. E le aziende, la cui stima di perdita è di 5,5 miliardi di dollari stanno rispondendo agli scioperi con raffiche di diverse centinaia di licenziamenti temporanei a causa dei blocchi della produzione. Il picchetto in trasferta, forse, si poteva evitare.