Capezzone e la filosofia politica del re di casa: il gatto
A Spoleto è mobilitazione generale per rintracciare Hiro, il micio di Nino Frassica. Come mai, viene da chiedersi? Solo per solidarietà verso il felino e il suo simpaticissimo coinquilino? Certamente per questo, ma pure per una ragione ancora più di fondo, starei per dire più “egoistica” che “altruistica”: perché noi gattofili, noi gattolici, noi gattari (in Italia siamo circa 9 milioni, roba da primo partito nazionale alle elezioni) siamo terrorizzati all’idea di smarrire il micio di casa. In questo senso, Hiro è anche il “nostro” micio. E allora permettetemi, cari lettori, di buttarla quasi sulla filosofia (politica) felina. Di tanto in tanto, mi torna in mente quello che solo in apparenza è un divertissement, un pezzo di bravura e un esercizio culturale dei partecipanti alla discussione: il dibattito che alcuni anni fa ho letto su Cap X - un magazine online britannico, insomma un covo di amanti del mercato- sulla natura politica e filosofica dei gatti.
Qualcuno, più prevedibilmente ma con argomenti solidissimi, li ha paragonati ai libertarians intesi all’americana: nemici totali dello stato, oppositori di qualunque autorità centrale e pubblica, fieri e quasi anarchici campioni della libertà personale. Depongono a favore di questa tesi l’attenzione dei gatti alla loro autonomia fisica, il fastidio per gli abbracci non graditi, per le voci troppo alte o perfino per i profumi troppo forti, il rifiuto delle imposizioni, e – in ultima analisi – il fatto di considerarsi almeno alla pari dei loro coinquilini umani. Anzi, secondo una celebre battuta di Winston Churchill, altro che parità, semmai un gradino più in su: «I gatti ti guardano dall’alto in basso, i cani dal basso verso l’alto, solo i maiali ci trattano da pari a pari». Sintesi terrificante ma lucida. Qualcun altro, più moderato, ha invece classificato i gatti come liberali classici: certamente campioni della libertà, ci mancherebbe, però meno ideologici e rigidi dei libertari assoluti. E quindi, capaci di accettare qualche compromesso: una ragionevole riduzione della loro libertà in cambio della certezza dei pasti quotidiani, un po’ di fusa in cambio di croccantini e scatolette. Insomma: le regole del mercato e la necessità di incrociare in modo reciprocamente accettabile gli interessi e le curve di utilità individuale delle singole parti.
DIABOLICO PRAGMATISMO
Leggendo questi eleganti e dotti commenti, non mi sono saputo schierare nettamente. Eppure la nettezza di quelle posizioni non mi convince. Mi sembra un modo di incasellare e in qualche misura ridurre, in nome di una ipersemplificazione di comodo, la natura complessa, il profondo eclettismo, e soprattutto il diabolico pragmatismo dei gatti, capace di mille sfaccettature quasi sempre in nome del miglior interesse felino. Per me, dunque, con buona pace delle elegantissime firme di Cap X, non ce la si può cavare con una lavagna divisa in due. Le “colonne” da disegnare sono molte di più, contraddittorie tra loro ma in qualche modo misteriosamente coesistenti.
La mia prima micia Giuditta (da qualche giorno si è aggiunto anche un secondo gattone di nome Zorro) è un buon esempio di questo vagabondaggio filosofico: certamente ultralibertaria nella difesa di quelli che a Oxford avrebbero definito i cazzi suoi (se questa espressione, pur evocativa, non fosse inadeguata - in tutti i sensi per una signora come Giuditta); fieramente socialista e fautrice di un welfare-state pesantissimo, roba da Svezia socialdemocratica, quando si tratta di essere cibata e assistita; paladina conservatrice della proprietà privata (sua) ma pronta ad occupare selvaggiamente quella altrui; epicurea e quasi edonista nel farsi massaggiare-pettinare-coccolare; anarcoinsurrezionalista nell’andare all’assalto del potere costituito dopo un ordine ingiusto; poi di nuovo empaticamente generosa nel percepire e decifrare gli stati d’animo del coinquilino umano e nell’offrirgli amicizia, consolazione, amore. Ma sempre con il caveat di una fiera autonomia. Una vecchia storiella inglese racconta che i gatti hanno almeno due nomi: il nome che il padrone dà loro, e un nome segreto, che il micio rivela solo all’umano di cui abbia imparato a potersi davvero fidare. Sono certo che, come la mia prima micia, anche il vostro gattone o la vostra gattona vi abbiano da tempo rivelato tutto. Con un dolcissimo concerto di fusa.