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Alain Elkann, rivolta di Repubblica contro il padrone: "Classista, ci dissociamo"

Francesco Specchia
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Ahimè, ci son giorni che sembrano macigni, piazzati sull’anima, da una società che non ti merita. Ci sono giorni in cui, come in un romanzo di Victor Hugo, il dolore ti tempra, l’ansia ti prende alla gola, i pensieri evaporano; mentre tu, infilato in un treno per Foggia, tenti di immergerti nella lettura di Proust in francese, sudato nel tuo impeccabile “completo di lino blu”. Tenti. Ma non ci riesci. Perché i tuoi compagni di viaggio sono ragazzini tatuati, dall’aspetto bituminoso e dall’acne terrificante; e non solo non ti salutano, ma parlano solo di calcio da Roma a Napoli e, poi da Napoli a Foggia, di fi***.

Ci sono giorni in cui il tuo sguardo più liquido del solito, si sconvolge di quanto il mondo al fuori sia cattivo e inelegante. Sicché - specie se ti chiami Alain Elkann e sei il padre dell’editore di Repubblica - ritieni doveroso rendere partecipe della tua esperienza in quell’inferno i lettori di Repubblica. Perché il mondo deve sapere. Per non dimenticare.

 

 

LA MISSIVA NECESSARIA
icché mandi una lettera al direttore Maurizio Molinari, scuotendolo dal torpore; e la chiami, quella lettera, “Racconto d’estate” ispirato a Proust, a Paul Auster e Philip Roth messi insieme. E suggerisci di trasformare quello che per chiunque stato uno sfogo isterico, in un respiro da pagine culturali. Questo è accaduto a Alain, evidentemente inviso agli dei. Il quale Alain, quindi, pubblica la sua tragica esperienza in un articolo titolato Sul treno per Foggia con i giovani lanzichenecchi. Lanzichenecchi. Che, detto così, uno s’immagina una turba di ultrà con i pantaloni alla zuava a sbuffo, elmo in testa e alabarda in mano, che portano nel vagone “di prima classe” violenza e devastazione, senza degnare Elkann d’un saluto. Invece, scorrendo con tremore il racconto di Alain uno scopre che questo gruppo di ragazzini di 16/17 anni, ha per lo più passato il suo tempo ascoltando musica dal cellulare, parlando di ragazze e pensando ai fatti propri, preoccupandosi anche di gettare i rifiuti nei cestini.

 

 

 

Elkann è sconvolto. E scrive: «Io indossavo, malgrado il caldo, un vestito molto stazzonato di lino blu. Avevo una cartella di cuoio marrone dalla quale ho estratto i giornali: il Financial Times del weekend, New York Times e Robinson, il supplemento culturale di Repubblica. Stavo anche finendo di leggere il secondo volume della Recherche du temps perdu di Proust. Ho estratto anche un quaderno su cui scrivo il diario con la mia penna stilografica. Mentre facevo quello, i ragazzi parlavano ad alta voce come fossero i padroni del vagone, assolutamente incuranti di chi stava attorno. Usando parolacce e un linguaggio privo di inibizioni». Prosa pregnante, coinvolgente, irrinunciabile, quella del nostro Scott Fitzgerald. Proseguendo nella vorticosa lettura emergono, poi, fatti impensabili.

 

 

 

«Loro erano totalmente indifferenti a me, alla mia persona». Ed ecco la botta d’angoscia: «Io mi sono domandato se era il caso di iniziare a parlare col mio vicino, ma non l’ho fatto. Lui era la maggioranza, uno nessuno centomila, io ero inesistente: qualcuno che usava carta e penna, che leggeva giornali in inglese e poi un libro in francese con la giacca e i pantaloni lunghi. Per loro chi era costui? Un signore con i capelli bianchi, una sorta di marziano che veniva da un altro mondo e che non li interessava». Eppoi questi spalancano le fauci, parlando di “beccare” le ragazze ai “night” (e qui, agli adolescenti d’oggi che “beccano” al “night” ho avuto un sentore di Saint Tropez anni 60, ndr)». Continuava l’indispettito Alain: «nessuno degli altri passeggeri diceva nulla». E qui il pensiero, a proposito di outfit e comportamenti va prima ai ragazzi in treno, e poi ai figli di Elkann, alcuni beccati in calze a rete, con abbondante cotè di polvere, non di stelle. Non escludo che i party vestiti da drag queen e l’uso personale di stupefacenti dei figli siano legati alla prosa dei padri. Ma tant’ è.

 

 

 

FALANGE OPLITICA
Dopo la pubblicazione del pregiato pezzo di letteratura di Alain, ecco che l’intera redazione di Repubblica insorge in falange oplitica con un comunicato. «La redazione ha letto con grande perplessità un racconto pubblicato sulle pagine della Cultura a firma del padre dell’ editore . Considerata la missione storica che si è data Repubblica sin dal primo editoriale di Eugenio Scalfari, missione confermata anche nel nuovo piano editoriale dove si parla di un giornale ‘identitario’ vicino ai diritti dei più deboli, ci dissociamo dai contenuti classisti nello scritto» dicono i giornalisti «per i quali peraltro siamo oggetto di una valanga di commenti critici sui social che dequalificano il lavoro di tutte e tutti noi». Dagospia evoca, - chissà perché - la frase attribuita a Gianni Agnelli in me rito al matrimonio della figlia Margherita: «Com’è possibile che con tutti gli ebrei brillanti in giro, abbia scelto questo idiota?». Sono evocazioni impertinenti. Da tutto questo emerge, alla fine un’unica ferale domanda: che cazzo ci faceva Alain Elkaan a Foggia.

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