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Vittorio Sgarbi: "Saviano? Il reato di cui è accusato"

Daniele Priori
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«La Commissione di Vigilanza chieda alla Rai le ragioni per le quali è stato tolto il programma a Facci che non ha fatto niente se non aver utilizzato la lingua in modo allusivo. Non si capisce come si possa prendere una frase e fare un’analisi così punitiva di una parola che è solo un participio passato». Il sottosegretario al Ministero della Cultura, Vittorio Sgarbi interviene com’è nel suo stile, in modo diretto, sul dibattito animato dal direttore di Libero, Alessandro Sallusti su libertà, censura e Rai. Tema che in questi giorni ha il volto di Filippo Facci, reo di aver espresso su queste pagine una sua opinione in maniera non gradita ai nuovi vertici e, pare, al codice etico di Mamma Rai. Ma anche quello di Roberto Saviano, la cui presenza con una sua trasmissione sulla tv pubblica è invece confermata nonostante le cause per diffamazione in corso, intentate allo scrittore dalla premier Giorgia Meloni, appellata come «bastarda» da Saviano.

 

 

 

Professore, come spiega questo doppiopesismo applicato dai vertici Rai. Che idea si è fatto? 
«Anzitutto bisogna partire dal fatto che nessuno può querelare Facci. Il quale si è limitato a usare un’espressione della lingua. Una persona drogata è fatta, così come lo è una persona che ha avuto un rapporto sessuale volontario o involontario. Le querele, che io conosco bene, arrivate a Saviano corrispondono a insulti diretti a premier e vicepremier. Mi pare insensato censurare sia l’uno che l’altro. Ma è evidente che l’unica possibilità per fare in modo che Saviano continui a insultare chi vuole, soprattutto chi sta al Governo, e il Governo possa dire di non esercitare la censura contro chi lo critica, è ridare la trasmissione a Facci che in tutta questa storia è l’unico a non aver fatto niente. Non mi risulta abbia insultato nessuno della sinistra e neanche quella ragazza. Quello che manca nel paragone tra i due, dunque, è proprio il reato, sia pure ipotetico di Facci. Mentre l’altro è accusato di un reato. Se poi la tv di Stato ritiene che chi offende il Governo possa andare in televisione, non si capisce perché lo debba impedire a Facci».

Quindi a suo giudizio in questo caso non c’è un problema legato alla solita presunta superiorità morale della sinistra pagata cara dagli opinionisti di destra? 
«Credo che in questo caso non ci sia la contrapposizione. Basterebbe che il presidente della Commissione di Vigilanza scriva alla Rai per chiedere le ragioni dell’esclusione di Facci. Il riferimento a Saviano è soltanto integrativo. Non c’è la richiesta di eliminare Saviano. Dal momento che risultano ininfluenti le offese e le querele rispetto alla libertà di andare in televisione di uno scrittore, visto che in questo caso gli scrittori sono due, ci si chiede per quale ragione sia stata presa una misura così afflittiva nei confronti di Facci. Tutto qua».

 

 

 


Si parla del mancato rispetto del codice etico dell’azienda... 
«Il codice etico deve valere per entrambi. Non può valere per uno solo. Il problema però in questo caso non è applicare il codice etico a Saviano ma disapplicarlo a Facci. Soprattutto perché non c’è niente di eticamente sbagliato. Facci ha detto una frase che può essere considerata di cattivo gusto ma nella quale non c’è offesa a nessuno. Occorre che la Commissione di Vigilanza interpelli la Rai chiedendo secondo quale schema si è censurato Facci. Non secondo quale schema non si è censurato Saviano. Quello può essere preso a modello. Come Saviano può dire ciò che vuole, può farlo anche Facci. Quello che dicano poi di penalmente rilevante non riguarda la sfera etica mala giurisprudenza. Il codice etico non può andare oltre il codice penale o civile».

 

 


Questa nuova Rai, anche alla luce dei nuovi palinsesti, le piace? 
«Osservo che la Rai non ha fatto nessuna riforma morale, come aveva suggerito Pupi Avati, rimasto inascoltato. Non c’è un canale culturale. È scandaloso che non vi sia un canale dove parlare di arte e cultura. Di politica ce n’è abbastanza sia nella tv pubblica che in quella privata. Manca parlare di un’opera d’arte al giorno. Manca l’insegnamento. Nessuna scuola può avere la capacità di appassionare che ha la televisione. Io ho fatto appassionare all’arte milioni di italiani. Servizio pubblico vuol dire raccontare l’Italia della bellezza, denunciare le cose che non funzionano ma non soltanto se di mezzo c’è la Santanché. Si pensi anche alla speculazione mafiosa sul paesaggio con sindaci di tutta Italia che protestano perché vedono i paesaggi incontaminati diventare parchi eolici o fotovoltaici. Tutti argomenti che non vengono affrontati». 

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