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Leonardo La Russa, l'ossessione di Repubblica per il suo telefonino

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Salvatore Dama
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La sinistra vuole il telefono di Leonardo Apache. E fa pressione perché il cellulare del terzogenito del presidente del Senato venga posto sotto sequestro. Cosa chela Procura di Milano non ha ancora deciso. Magari succederà. Ma non è successo. Perché nel frattempo gli inquirenti sono concentrati nel raccogliere testimonianze utili alla ricostruzione dei fatti da accertare. Se c’è stata violenza sessuale, come ha denunciato la ragazza ventiduenne che ha trascorso la notte del 18 maggio con Leonardo La Russa. E se sono coinvolte altre persone. Non è in programma, almeno per il momento, la convocazione dell’unico indagato. Il procuratore aggiunto Letizia Mannella e la pm Rosaria Stagnaro, che conducono il lavoro insieme alla Squadra Mobile, non hanno in previsione un interrogatorio. Però c’è chi ha fretta e non vuole aspettare i tempi della giustizia.

CHI PREME
Un nome in particolare, Gianrico Carofiglio. Apriamo Wikipedia: ex magistrato, ex senatore del Partito democratico fino al 2013, ma soprattutto scrittore di livello assoluto. Sei milioni di copie vendute, libri tradotti in 28 lingue. Perché insistere sul sequestro del cellulare di Leonardo Apache? Chiaro, ci potrebbero essere elementi per dare una svolta alle indagini in un senso o nell’altro. E questa è la ragione giudiziaria della misura. Poi? Ovvio, c’è anche chi muore dalla curiosità di infilarsi nelle conversazioni private del figlio della seconda carica dello Stato, le chat familiari per esempio. E magari chi non si offenderebbe se le vedesse pubblicate sui giornali, così come è stato con i Whatsapp della ragazza che ha denunciato la violenza. A quale categoria si iscrive Carofiglio, la prima o la seconda?

Leggiamo il suo tweet: «Il cellulare di Apache pare non sia stato sequestrato. Il padre è parlamentare, il telefono potrebbe essere suo, per sequestrarlo serve un’autorizzazione del Senato. Nulla vieta però di consegnare subito il telefono agli inquirenti per chiarire. Se non c’è nulla da nascondere...». Ecco, in quei tre puntini finali di sospensione c’è un intero manifesto politico. Poi, siccome alcuni follower gli danno del Torquemada, Gianrico torna sull’argomento “figlio caro” per spiegarsi meglio: «Per sequestrarlo (il telefono, ndr), tranne che non venga spontaneamente consegnato, deve essere richiesta l’autorizzazione al Senato. Più che della cultura del sospetto, in questo caso parlerei di cultura dell’onestà! Perché La Russa non dichiara che è del figlio e consente al magistrato di procedere? O perché non lo fa consegnare spontaneamente dal figlio se nulla ha fatto, nel rispetto del suo ruolo di garante delle istituzioni e seconda carica dello Stato?».

LA PROCEDURA
Però, chiariamo: davvero le guarentigie del presidente del Senato si estendono anche alla famiglia, come sembra sostenere l’ex magistrato? Le cose non stanno così. La seconda carica dello Stato è come tutti gli altri senatori (e deputati) e non gode di tutele speciali. Vige l’articolo 68 della Costituzione, che dice: i parlamentari “non possono subire perquisizioni domiciliari o personali, non possono essere arrestati o altrimenti privati della libertà personale, mantenuti in detenzione e intercettati senza l’autorizzazione della Camera di appartenenza. L’arresto non deve essere autorizzato solo se arriva in conseguenza di una sentenza irrevocabile di condanna o se avviene in flagranza di reato”.

Essere figlio di un senatore (o del presidente del Senato) non comporta privilegi. Se le cose stanno così perché anche ieri, in ambienti giudiziari milanesi, veniva ribadito che il telefono di Leonardo non era stato sequestrato “alla luce delle difficoltà di un atto istruttorio di questo tipo legate alla carica istituzionale del padre”? L’unica spiegazione possibile è che l’utenza in uso al figlio sia intestata al padre. In questo caso, allora, la sinistra (quella che twitta) deve mettersi l’anima in pace: serve l’autorizzazione di Palazzo Madama. Ma non è detto che sia così. Stesso discorso varrebbe per una perquisizione domiciliare, visto che in quel caso l’abitazione sarebbe la medesima 

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