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Natalia Aspesi insulta La Russa: "Pochi capelli e sempre unti, fa paura ai bimbi"

Alberto Busacca
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Stupro, violenza, sessismo. Parole tornate purtroppo al centro del dibattito pubblico. E che hanno scatenato un appassionato confronto tra donne. Che, per fortuna, è andato anche oltre le accuse di Elly Schlein sulla «destra patriarcale» e sul «maschilismo tossico». Ieri, sulla Stampa, si sono “scontrate” Lucetta Scaraffia e Annalisa Cuzzocrea. «Uomini e donne sono diversi», ha scritto la Scaraffia, «le ragazze sono oggettivamente più in pericolo di subire una violenza. Non è piacevole, lo so, dover ammettere che girare sole a notte fonda, magari non troppo sobrie, candida una ragazza a diventare vittima di qualche giovanotto, magari anche lui non troppo sobrio. Ma è così, c’è poco da fare.  È impossibile creare una società in cui le giovani donne possano muoversi con la stessa libertà dei giovani maschi. Si tratta semplicemente di fare i conti con la realtà, il resto è utopia. Le ragazze dovrebbero tenerlo bene a mente, e i genitori, magari, ricordarglielo la sera quando escono».

 

 

 

Queste parole non sono piaciute per niente alla Cuzzocrea. «Non voglio», ha replicato, «abusare di termini come vittimizzazione secondaria. La legge dice chiaramente che non si può approfittare sessualmente di una persona che è in “condizioni di inferiorità psichica o fisica”. Se non c’è il consenso, è stupro. Bisogna partire da questo, non invertire il paradigma. Partire cioè da quel che dobbiamo insegnare ai nostri figli maschi: se ti ritrovi con una ragazza che non ha coscienza di quel che fa, per quanto possa piacerti, la porti a casa sua, non tua. È perbenismo? È utopia? Io penso siano le basi del vivere civile». Già, ma nelle due posizioni c’è una differenza sostanziale: la Scaraffia vuole insegnare alle donne come difendersi da sole, mentre nel ragionamento della Cuzzocrea la donna finisce paradossalmente per mettere ancora il suo destino nelle mani dei maschi, sperando di incontrarne uno che la riaccompagni a casa se non dovesse più essere in sé. Certo, dovrebbero farlo tutti, ma come si può escludere di trovare invece qualcuno con delle brutte intenzioni?

 

 

 

Più “radicale” il pensiero della scrittrice Dacia Maraini. Che a Coffee Break, su La7, rispondendo al giornalista Marco Ventura, secondo cui lo stupro ai danni della ragazza che ha denunciato il figlio di Ignazio La Russa «è tutto da dimostrare», ha commentato: «Non capisco perché se io denuncio di essere stata rapinata, nessuno mette in dubbio che sia vero e nessuno pensa che io abbia avuto piacere nel subire una rapina. E invece nello stupro bisogna dimostrare che non si è stati consenzienti. Questa è una cosa gravissima». È vero che, come ha detto la Maraini, dopo la denuncia la donna è «costretta ad affrontare situazioni sgradevolissime», ma qual è l’alternativa? Considerare ogni denuncia vera a prescindere? Così, però, le persone accusate non avrebbero più la possibilità di difendersi... E chiudiamo con Natalia Aspesi, che su Repubblica ha definito Ignazio La Russa «un uomo con un’aria e una voce da far paura, e pochi capelli sempre unti e spettinati, che se li vede un bambino diventa subito comunista». Insomma, se non lo avesse scritto con la tipica ironia della Aspesi, se non lo avesse scritto su Repubblica e se non lo avesse scritto riferendosi a un uomo di destra, qualcuno, magari del Pd, avrebbe gridato al body shaming... 

 

 

 

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