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Concita De Gregorio, toh: "Perché la sinistra perderà per anni"

Giovanni Sallusti
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«Invece Concita», recita il titolo della sua storica rubrica su Repubblica. Invece Concita De Gregorio lo sa, lo ha capito, anche perché le si potranno muovere parecchie contestazioni, magari i tempi di elaborazione, ma non l’acume. Cosa ha capito, Concita De Gregorio? Nientemeno che l’impasse storico-culturale in cui la sinistra italiana, europea e occidentale si è infilata da lustri. Quella che nessun dirigente della medesima ha mostrato di aver compreso. Quella che il grande critico d’arte Robert Hughes chiamava “cultura del piagnisteo”, l’atteggiamento vittimistico-giudicante, quindi intimamente repressore, del Politicamente Corretto.

E sono proprie tre storie dall’abisso di stupidità politically correct, da lei definito «il seme dell’autodistruzione» della sinistra, che Concita ha cucito insieme nel suo pezzo di ieri su La Stampa, come morale di un suo recente soggiorno nella Francia radical. Prima storia: i genitori degli alunni di una altolocata scuola di danza nel quartiere parigino del Marais, “roccaforte” dell’élite progressista e illuminata come annota Concita, hanno partorito la seguente, illuminatissima richiesta. Gli insegnanti non devono mai toccare gli allievi con le mani per trasmettere loro le giuste posture e i giusti movimenti, bensì utilizzare sempre un bastone. Questo perché qualunque contatto tra corpi, compreso la mano che indirizza il busto o accompagna in un passo provato per la prima volta, è potenzialmente una molestia sessuale.

CORTOCIRCUITI
È uno dei tanti cortocircuiti del progressismo oscurantista: l’ipersessualizzazione di ogni gesto e di ogni relazione genera una sessuofobia paranoica di ritorno. Per cui meglio il bastone, anche se poi questo aprirà a infinite diatribe sui suoi potenziali abusi punitivi e criptofascisti, in un perenne delirio censorio che potrebbe placarsi solo con la chiusura della scuola. Seconda storia: istituto superiore di Belle Arti. Classico momento della foto di gruppo: un docente chiede a un’allieva di raccogliere i capelli in una coda per i pochi secondi del clic, dal momento che, rendiconta Concita, «la sua sontuosa chioma afro espandendosi in orizzontale copriva completamente i volti dei compagni alla sua destra e sinistra». Errore clamoroso: la ragazza lamenta cosa non vada nella propria acconciatura e «anima alla rivolta» la classe, questa la segue, il poveraccio subisce un processo buonista in diretta e si vede costretto a balbettare che «ha una fidanzata somala» e non è razzista, la preside lo convoca e gli intima di scusarsi con una lettera pubblica. Sembra una parodia multiculti delle purghe staliniane, e il professore, confessa Concita, certo non è agevolato da alcune “caratteristiche molto mal viste”: è maschio, eterosessuale, perdipiù di origine anglosassone. Praticamente un paria, per il nuovo luogocomunismo.

Terza storia: una importante e celebre polemista femminista, «senza il minimo dubbio di sinistra» specifica Concita, osa sostenere la libertà delle donne musulmane di non portare il velo. Attenzione: non criminalizza il velo, difende soltanto una (apparente) ovvietà nelle società aperte d’Occidente: la libertà della persona. Risultato: «La accusano di essere di destra, di essersi venduta», le forze dell’ordine la mettono sotto scorta per le reiterate minacce, una consigliera municipale in teoria affine politicamente le conferma che sì, «rischierebbe di essere aggredita» e «del resto deve aspettarselo, dato che è islamofoba». Non è l’imposizione del burqa ad essere fuori da qualunque civiltà laica e liberale, è la rivendicazione della sovranità della donna sul proprio corpo a stonare, se indirizzata contro il precetto islamico.

IL MARCHINGEGNO
Qui Concita coglie un altro tratto distintivo del Politicamente Corretto: se costretto a scegliere tra due istanze teoricamente “sue” (in questo caso, il femminismo e l’islamofilia acritica), questo bizzarro ma sistematico marchingegno ideologico sceglierà sempre la più repressiva. Sceglierà sempre il burqa, mai la libertà delle donne. Perché quella che lo muove, come scrive il sociologo canadese Mathieu Bock-Côté, è un’“utopia diversitaria” (laddove la vecchia sinistra coltivava un’utopia egualitaria): il culto assoluto dell’Altro purchessia, dell’immigrato esoticamente idealizzato, del non-cristiano come eterna vittima coloniale, perfino dell’oppresso dal cambiamento climatico, basta che non sia il barbaro uomo bianco occidentale. Stranamente, accade poi che gli uomini occidentali nell’urna non votino in massa la gauche, soprattutto i lavoratori e quelli che hanno problemi più prosaici della scuola di danza dei figli. Così «la sinistra non vincerà per molti anni in questo e in altri Paesi democratici» chiosa Concita, conscia che la Francia è anche specchio anticipatore della nuova distopia (cui la segreteria surrealista della Schlein ha impresso un’accelerazione anche quaggiù). Se i compagni dessero ancora segnali di vita cerebrale, leggerebbero e imparerebbero a memoria. Invece, Concita rischia seriamente di essere la prossima scomunicata.

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