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Briatore, il caso-Santanché? "Un gioco politico": la sua verità

Hoara Borselli
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Oggi alle ore 15 la ministra del Turismo Daniela Santanchè parlerà nell’aula del Senato. Un’informativa a Palazzo Madama dove l’esponente di Fratelli d’Italia riferirà sulla gestione di “Visibilia”, la società da lei fondata e al centro dell’inchiesta giornalistica diffusa dalla trasmissione Report. Il tribunale del popolo giustizialista ha già emesso la sua sentenza, esponenti dell’opposizione ne chiedono le dimissioni immediate, poi c’è lui, Flavio Briatore, che commenta così la valanga di fango che sta travolgendo Daniela, sua amica da sempre e socia in affari. «Trovo folle tutto ciò che sta accadendo. È paradossale che un ministro della Repubblica venga convocato in Parlamento perché una trasmissione televisiva, Report, manda in onda un’inchiesta su fatti avvenuti otto anni fa e montati come se fossero accaduti ieri. Daniela non è indagata e mi dispiace che il governo non abbia fatto muro opponendosi alle richieste strumentali dell’opposizione».

Flavio, pensi che la destra stia difendendo poco Daniela?
«Penso solo che il governo dovrebbe essere più incisivo, forse più cattivo – passami il termine - come ha sempre fatto la sinistra negli ultimi anni, da quando è al potere, nel difendere i suoi. E questo non significa sollevare Daniela da responsabilità se dovessero emergere, ma non piegarsi a richieste che servono solo ad alimentare la strumentalizzazione politica».

Tu avrai sicuramente sentito la tua amica Daniela in questi giorni. Visto lo stretto rapporto di amicizia che vi lega, come sta vivendo questo momento?
«Daniela è tranquilla. Non è contrariata di andare a riferire in aula. Anzi, vuole andarci per levarsi non i sassolini, i macigni dalle scarpe. Perché è chiaro che questa inchiesta viene utilizzata come strumento per andare contro il governo. Sennò perché non farla uscire prima? Perché montarla come se fosse un qualcosa di recente quando invece ci sono fatti risalenti anche a dieci anni fa?».

Stai dicendo che stanno usando la Santanchè come capro espiatorio?
«Esattamente così, come accadde a me quando tutte le televisioni d’Italia, tutti i Tg, tutte le prime pagine dei giornali titolavano: “Briatore evasore!”. Mi hanno massacrato per dodici anni e il tutto si è risolto con un’assoluzione nel silenzio di quella stessa stampa che mi aveva già condannato. Quindi dico di essere cauti prima di mandare al patibolo le persone».

Flavio, anche tu in queste ore sei al centro dell’attenzione mediatica per una polemica nata da una dichiarazione che hai fatto in una trasmissione televisiva dove si parlava di lavoro. Tu hai detto: «Tra vent’anni non ci saranno più i falegnami perché i genitori mandano i figli a scuola. I figli dei falegnami devono fare i falegnami , non l’università». Ci spieghi bene cosa volevi dire perché, in effetti, detta così, può generare equivoci.
«Queste parole volevano essere la sintesi di un ragionamento che non è stato compreso. Lo studio lo considero uno strumento di libertà quindi non lo metto in discussione. La maturità è essenziale per i nostri ragazzi. Quando finiscono quel percorso di studi, se un giovane ha delle aspirazioni tipo diventare medico, ingegnere o avvocato fa benissimo a proseguire con l’università. Se invece non ha alcuna ambizione particolare e frequenta l’università solo per compiacere le aspettative dei genitori, questo è sbagliato e dico che è meglio che vada a lavorare».

Detta così è difficile darti torto, ma tu hai detto che fra qualche anno se i ragazzi proseguono gli studi non ci sarà più manodopera qualificata per mandare avanti le aziende di famiglia. Gli studi nelle tue parole passano per un ostacolo al lavoro.
«L’Italia nonostante tutto ciò che le capita resta sempre in piedi perché ha un tessuto artigianale e industriale molto forte, costituito da medie piccole aziende che troppo spesso sono in affanno. Io dico che se il figlio vede che l’attività del padre, ad ese m pio la falegnameria, va bene, è incentivato da grande a portarla avanti e non andare all’università per trovarsi, come i numerici dicono, su una piattaforma di disoccupati. Se lo Stato aiuta le imprese, aiuta i giovani figli a portarle avanti. Gli istituti tecnici, una volta considerati luogo di svogliati, sono invece una enorme risorsa che abbiamo e su cui lo Stato deve investire perché da lì uscirà la manodopera qualificata che terrà in piedi il nostro tessuto socio economico».

Hai detto che tuo figlio Nathan vorrà proseguire il tuo lavoro da grande. Quindi immagino non andrà all’università. Ora che scuole sta frequentando?
«Ha finito quest’anno la terza media. Inizierà il liceo che farà in collegio dove ci sarà anche una parte di food and beverage che potrà fornirgli le competenze per continuare il mio lavoro. Sia chiaro, partirà da zero come tutti, facendo il cameriere. È fondamentale se vuole un giorno diventare manager, partire dal basso come ho fatto io nella mia vita».

Flavio, per diventare il Briatore che tutti noi conosciamo, che conta nelle sue aziende 1200 dipendenti con ottanta milioni di euro di fatturato, che studi hai fatto?
«Io ho fatto geometra. Ragioneria era troppo complicata perché non ho mai avuto grande predilezione per i calcoli. Una volta presa la maturità mi sono subito voluto inserire nel mondo del lavoro facendo anche cose che non mi piacevano, ma era importante iniziare. Abitando in un piccolo paesino di montagna ho fatto il maestro di sci, poi il cameriere, vendevo e affittavo case, ho venduto assicurazioni. Prima c’era fame di lavoro, ambizione. Cosa che oggi non vedo in troppi giovani. Non sono nato ricco. La mia ricchezza me la sono costruita lavorando».

Tu che dovresti rappresentare l’uomo di successo che è partito da zero, vieni sempre molto attaccato. Come ti spieghi questo fatto?
«Perché in questo Paese c’è una enorme invidia sociale verso chi ce l’ha fatta. È un retaggio culturale radicato. La ricchezza non viene vista come uno strumento che può generare lavoro ma un qualcosa di sporco da demonizzare e contrastare».

Per concludere Flavio, mi dici cosa ne pensi della proposta sul salario minimo?
«Non possiamo ignorare che ci siano paghe da fame per alcuni lavoratori e questo non va bene perché il rispetto della dignità di chi lavora è un valore fondamentale. Quindi i salari devono essere adeguati. Ma il vero problema per noi imprenditori quando ci troviamo a dover assumere è questo, non possiamo licenziare i nostri dipendenti nemmeno se li troviamo a rubare in cassa. Ci vuole maggiore flessibilità nel poter licenziare per giusta causa. Quindi va bene adeguare i salari ma è fondamentale come dice il governo, defiscalizzare le imprese. Come ha detto il ministro Nordio, con questo regime di tassazione, fare impresa in Italia è praticamente impossibile. E senza imprese non ci sono occupabili. Inutile alzare i salari se non c’è chi quei salari te li deve pagare». 

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